L’ultima sfida: gli ottomila d’inverno - La recensione

Pubblicato il 6 marzo 2021 alle 19:00:38
Categoria: Libri di Sport
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Li chiamano gli avventurieri della montagna. Esigua minoranza che fa notizia solo in caso di tragedie. Sono gli scalatori che affrontano gli 8000 himalayani in inverno. Nel gennaio 2018 la francese Élisabeth Revol assieme al polacco Tomasz Mackiwicz, raggiungono la cima del Nanga Parbat a quota 8.125 metri, prima donna ad avercela fatta in inverno, dopo due tentativi falliti. Il compagno di scalata arriva in vetta allo stremo delle forze e il sogno realizzato, si trasforma in tragedia. Muore prima che arrivino i soccorsi e con lui esce di scena un personaggio veramente fuori dagli schemi. Tanto è disciplinata la francese, il polacco è tutto l’opposto. Droga e fatalismo, nel suo curriculum straordinario, ma anche un fuoriclasse della montagna. “Il Nanga Parbat era diventata la sua ossessione – dice la Revol, che accetta di raccontare le ultime ore di “Tom” dopo molti rifiuti – questo era il terzo tentativo, finalmente riuscito. Purtroppo quando è arrivato in vetta stava già male. Aveva perso la vista, il resto è stato una tremenda agonia. Tom è rimasto sulla montagna che amava”. Anche il prezzo che paga la Revol non è leggero. Congelamenti vari e un rimorso che il tempo stenta a cancellare. L’intervista che le autrici ottengono è emblematica. Nell’arco di quarant’anni, solo 86 persone hanno raggiunto la vetta di un 8000 in inverno. Dopo la conquista dell’Everest nel 1953, i tentativi invernali nell’arco di quasi 70 anni, sono stati trenta contro le 2030 spedizioni negli altri periodi. Le ultime vittime “invernali” sono stati l’inglese Tom Ballard e l’italiano Daniele Nardi nel febbraio 2019. Anna la moglie polacca di Tomek, è andata a trovare Elisabeth in Francia e insieme hanno ripercorso idealmente quel cammino verso la cima e il tragico ritorno. Si capisce che il tormento è ancora vivo nel suo animo. Lo conferma anche nel libro-testimonianza. Ricorda: “Quando abbiamo deciso di continuare, a 90 metri dalla cima per Tomek era già troppo tardi”. La salita troppo veloce o la voglia di arrivare dopo i tentativi falliti? Una condizione fisica carente? Tante domande senza risposte precise. A giudizio quasi unanime Tomez è morto per edema polmonare. Il dottor Richalet specialista di medicina di montagna, dà una spiegazione di questa attrazione irrazionale: “Una variazione dell’edema cerebrale, che può trasformarsi in una sensazione di onnipotenza”. La stessa Revol non riesce a spiegarsi il perché del tentativo: “Perché sono salita quattro volte sul Nanga Parbat, io che mi ero ripromessa di non accanirmi mai su una cima?”. Ma dice anche: “Ogni volta che sono in montagna mi sento libera”. Il racconto della vita avventurosa di Tomez e il rigore maniacale della Revol, due poli opposti che si incontrano e convivono nella stessa passione per l’alta montagna, legandosi a quel filo che unisce il piccolo esercito di questi conquistatori dell’inutile, come afferma, Lionel Terray, eroe dell’Annapurna e guida a Chamonix. Le due autrici, vere appassionate di montagna, raccontano sei spedizioni invernali col ritmo incalzante di un reportage giornalistico, creando l’emozione come se il lettore partecipasse all’impresa o al dramma. Entrare nel merito sarebbe come anticipare il nome dell’assassino in un thriller. Dico solo che gli attori sono grandi protagonisti. Da Andrzej Zawada, scomparso nel 2000 per un tumore, il primo polacco a salire nel novembre del 1979 sull’Everest, anche se già nel 1973 aveva scalato, sempre d’inverno i 7492 metri del Noshaq in Afganistan, il primo uomo a quella quota in inverno. Il russo Anatolij Bukreev, tanto grande quanto tenace ma sfortunato, l’italiano Simone Moro, una bandiera italiana mai ammainata, poi Scott Fischer l’americano dal fisico da surfista che si tramuta in imprenditore dell’estremo. Imperdibili i coniugi Katia e Jean-Christophe Lafaille, legati a filo doppio con l’alta montagna d’inverno. C’è un paragone emblematico. Gli astronauti che hanno solcato la superficie lunare sono 12, nessuno ha raggiunto in inverno la cima del K2.  Per chiudere, torniamo da dove il libro era iniziato. Nell’ottobre 2019, le due autrici ritrovano Elisabeth, reduce dalla scalata del Manaslu (8163) con una spedizione commerciale. Dopo una lunga terapia, ammette di essere “dipendente” dell'alta quota. “Nel dicembre 2017, - tentativo fallito - dovevo assolutamente scalare il Nanga Parbat. Lo stesso quando nel maggio 2019 sono salita sull’Everest”. Ma assicura: “Forse le salite invernali in condizioni estreme per me sono finite”. Ma, giustamente, le due intervistatrici nel dubitano.

Giuliano Orlando