Tutta colpa del Mundialito. Berlusconi, la tv, il calcio e l’ombra della P2: la recensione

Pubblicato il 30 maggio 2021 alle 12:00
Categoria: Libri di Sport
Autore: Redazione Datasport

Nel segno delle regole di Licio Gelli e della giunta militare dell’Uruguay – Andrea Bacci – Tutta colpa del Mundialito. Berlusconi, la tv, il calcio e l’ombra della P2 - Bradipolibri editore - Pag. 240 – Euro 18.00.


Cos’è stato il Mundialito? Nonostante la buona volontà non è facile avere una risposta dopo la lettura attenta di questo lavoro, che ha il pregio di rinfrescare la memoria di un evento che è il caleidoscopio di una stagione non certo ideale per l’etica e gli eventi, dove la politica peggiore ha visto lo zenit, ma nel contempo smentisce quanto afferma la prefazione in cui si parla di scoop a non finire, mentre in realtà tutto ciò che si legge fa parte di una cronistoria riportata addirittura in eccesso da tutti gli organi di stampa di allora. Resta la zona buia, i misteri mai svelati dai servizi segreti e tanto meno dal libro. Nessun dubbio sulla sfrontatezza di alcuni personaggi che hanno raggiunto le vette dei business usando ogni mezzo senza pudore. Tutti ben lontani dal pensiero di nascondere i loro successi, pervasi dal senso di onnipotenza che ha etichettato sia Licio Gelli che Silvio Berlusconi. L’autore è un ottimo assemblatore di storie grazie alla pazienza che etichetta chi pratica le biblioteche. Non che questo sia scorretto, ma ha il limite di non possedere l’estro e la fantasia che si riscontra in chi ha vissuto in prima persona gli eventi. Ugualmente il libro è di ampio respiro, con la prima parte, la più interessante, decisamente più politica che agonistica, dove i protagonisti, da Gelli a Berlusconi ma non solo, impegnati nelle loro scalate ai vertici dei guadagni con grande successo. Mister Licio muovendosi come un cobra col fiuto degli affari, che passano dall’Italia all’Uruguay, dove fin dai primi anni ’70 controlla istituti bancari col figlio Maurizio e nel 1975 acquista una villa a Montevideo, sempre sul filo rosso tra legalità e off, come descritto nel libro. Il Cavalier Silvio Berlusconi inizia con basi più limitate ma fa in fretta a toccare i vertici, prima nell’edilizia e poi con le emittenti dove ha il pregio di aver capito prima di altri che il calcio sarebbe stato l’affare del secolo. A quel punto il libro entra nel merito della dittatura uruguaiana, iniziata nel 1976, col golpe dei militari capeggiati da Alberto De Micheli a cui segue Aparicio Mendez, che portarono il piccolo paese all’esclusione assoluta della libertà di pensiero e azione. Situazione drammatica, acuita dal crollo dell’Uruguay calcistica, protagonista dagli anni ‘30 agli anni ’50, in cui vinse due mondiali, alla discesa nell’anonimato, assente addirittura nel 1978. Qualcuno da quelle parti pensa che festeggiare il cinquantesimo di quel primo trionfo sia una grande idea. Respinta dalla giunta militare impegnata in altre faccende. Quando sembra destinata al fallimento, interviene Washington Cataldi il presidente del Penarol, la squadra più potente del Paese e qui prende l’avvio il colossale affare che vede coinvolti sia Licio Gelli e in seguito Berlusconi. L’iter di questo intreccio politico finanziario ha molti figli legati dal filo della disinvoltura assoluta. Personalmente ho trovato la parte più interessante, con una parte della stampa italiana che fa come le scimmie indiane, elogiando un Paese dove la cruda realtà è la fame del popolo e i fiumi di denaro scorrono su rivoli ben definiti. La cronistoria del Mundialito non ci fa scoprire nulla, almeno sul piano dei risultati, con l’Italia di Bearzot - che aveva mille problemi sia di ricambi che di altre problematiche con Paolo Rossi e Bruno Giordani coinvolti nel calcio scommesse - solo comprimaria, picchiata, beffata e sconfitta. Ma questo era nei preventivi, come era noto che Havelange il brasiliano presidente della FIFA non fosse uno stinco di santo, semmai il contrario, come venne a galla anni dopo. Che l’Uruguay, come avvenne, dovesse vincere il torneo, che quell’Angelo Vulgaris, proprietario di una multinazionale che commercia bestiame, a cui vengono ceduti i diritti del torneo, avesse il pelo sullo stomaco non può sorprendere. Fatale quindi che gestisse in modo spregiudicato i diritti della Copa de Oro, una fetta dei quali finirono nelle mani prensili del “cavaliere” che fronteggiò la RAI con la sua Rete Italia, cavalcando e scavalcando ogni difficoltà. Acquista i diritti del Mundialito, riuscendo a usufruire anche del satellite, smuovendo mezzo mondo, aprendo le sue ali non immacolate, ma grandi e possenti. Il resto è noto e non mi sembra il caso di entrare nel merito. Anche se alla base di quel torneo c’è il gioco del calcio. Protagonista quasi inconsapevole. Come spiega bene il libro.

Giuliano Orlando