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La storia dell’Atalanta. Il romanzo della Dea

Pubblicato il 23 agosto 2025 alle 02:08
Categoria: Libri di Sport
Autore: Wilma Gagliardi

 La storia dell’Atalanta. Il romanzo della Dea

Anche se lo sguardo guarda molto lontano, mantengono i piedi ben piantati a terra. La filosofia di un popolo la cui squadra è sulla bocca di tutti. Alessandro Ruta – La storia dell’Atalanta. Il romanzo della Dea - Diarkos editore - Pag. 410 – Euro 19.00.     

di Giuliano Orlando                                                                                                                         

A Bergamo chi segue il calcio tifa solo e unicamente per la Dea. Se deroghi, sei un traditore. Non ci sono alternative. Sorprende e non poco, che il compito di raccontare la società sia stato demandato ad un milanista dichiarato. Suppongo onde evitare un amore troppo forte. Sia chiaro che la mia osservazione esula dalla qualità di Alessandro Ruta, l’autore del libro. Comunque, per dare una spruzzata di spirito casalingo, ha offerto a Gianpaolo Bellini, preparatore del settore giovanile, capitano e detentore del record di presenze nella storia del club, debutta a fine 1999 e gioca fino al 2016 (435 partite, 281 in serie A), il gradevole compito della prefazione. Breve ma esauriente. Il club nasce in due tempi. Il primo segna: 17 ottobre 1907, quando cinque giovani che facevano parte della società Giovane Orobia la più importante della città, polisportiva che promuoveva molte discipline, in particolare ciclismo, ginnastica, scherma e alpinismo, decidono di fondarne una nuova, chiamandola Sport Club Atalanta. La scelta del nome, si tratta di una ninfa arcadica di rara bellezza, pare sia nata dal presidente Vittorio Adelasio, soggetto assai colto. Il calcio entra nella società nel 1913, la data ufficiale della sezione calcistica dello Sport Club Atalanta. L’ingresso ufficiale nel campionato di Promozione, lo scalino più basso nella scala calcistica italiana avviene nel 1914. Imperdibile l’incipit relativo all’abbigliamento dei calciatori in quel periodo. “….portavano scarpe da far spavento, con una punta enorme, rotonda, massiccia. Talvolta corazzata, perché il suo interno nascondeva una specie di ferro di cavallo. Per tirare più forte. Le teste bardate da fazzolettoni e berretti da ciclista. Il portiere con una salvietta al collo. Nessuno ha mai saputo a cosa servisse”.  Dopo la guerra del ’15-’18 ci sono due squadre cittadine: Atalanta e Bergamasca. Prima di scontrano, per fortuna in campo, dove vince 2-0 l’Atalanta, poi decidono di unificarsi. Raccontare la vita di una società calcistica come l’Atalanta, ovvero oltre il secolo di vita è un onore ma anche un rischio. Quello di ridurre il tutto alle partite, ovvero la parte esteriore, anche se in termini di pratici sono quelle che determinano il destino del club. Oppure entrare nel cuore di una società per capirne l’anima e i sentimenti. Quello che ha fatto l’autore, raccontando perché oggi l’Atalanta rappresenta la città, il segno di una passione infinita e durevole. Un mosaico con centinaia di tessere, ciascuna delle quali ha contribuito a far crescere il club. Partendo dalla nobildonna Betty Ambiveri, che cede alla società un vasto appezzamento di terreno dove viene creato il primo vero campo di calcio e le tribune per 300 persone. Oltre ad una pista di atletica, ampliata in seguito anche per il ciclismo con tanto di curve sopraelevate. Non solo, ci sono le docce, un lusso per quegli anni. Parliamo del settembre 1919, appena finita la prima Grande Guerra. Mica anni facili. Tra una polemica e l’altra, arrivano i primi giocatori stranieri, si tratta di due ungheresi: Gedeon Lukatz e Jeno Hauser. L’Atalanta gioca in Prima Categoria, ma fatica e non poco. Arriva anche la politica e il regime fascista impone le sue leggi. Nel 1928, nasce lo stadio e l’Atalanta vince a sorpresa il Campionato di Prima Divisione ed entra in quella Nazionale. Passano gli anni, l’Italia esce con le ossa rotte dalla seconda guerra mondiale, ma trova la forza per risollevarsi e il calcio si adegua ai tempi. Arrivano i gradi sponsor e tra questi Achille Lauro, il re di Napoli che del pallone ha fatto il suo pallino. L’Atalanta ha saputo navigare in acque procellose, i suoi dirigenti si sono distinti per avere l’occhio lungo negli acquisti dei giocatori. In particolare quelli stranieri. Il calcio si evolve, diventa alchimia tattica. che chiamano metodo e arriva dall’Ungheria, in quegli anni maestra assoluta. In Italia c’è la corsa allo straniero con la Juve a fare da protagonista. Ma l’Atalanta non sta a guardare, acquista i danesi Leschly Soerensen e Karl Hansen, che arricchiscono il pallottoliere atalantino con gol a go-go. Di Hansen si innamora la Juve che lo acquista e peso d’oro. Ma non è finita. Nel 1951, l’ingegnere Luigi Tentorio, ex giocatore atalantino, che opera gratuitamente, adocchia in Svezia il giovane Hasse Jeppson e lo raccomanda al club. Che sborsa con molta riluttanza oltre 32 milioni delle nostre lirette. Un anno dopo l’armatore Achille Lauro, presidente del Napoli e futuro sindaco della città, lo porta all’ombra del Vomero per 105 milioni. Ho riassunto al massimo uno dei tanti gustosissimi episodi che Alessandro Ruta descrive con abbondanza di dettagli e precisione svizzera. Un libro dove il club viene passato ai raggi X, senza avere tempi morti, lungo oltre un secolo di vita sportiva e umana. E dove, uomini e fatti vengono rivissuti e riportati al presente storico. Anche se non sono un patito del calcio, preferendo altre discipline sportive, ammetto di aver letto il libro con interesse crescente. Curioso di conoscere la vicenda successiva, fino alla Dea attuale.                                                                                                                                                   

Giuliano Orlando