Sonny Liston. Il campione che doveva perdere contro Ali: la recensione

Pubblicato il 15 novembre 2021 alle 12:30
Categoria: Libri di Sport
Autore: Redazione Datasport

Scrivere un libro “contro” è sempre un gesto di coraggio. Nel pugilato l’esercizio in tal senso comporta l’impegno di rendere credibili e concrete le affermazioni in controtendenza con la maggioranza delle opinioni. Leggendo il libro, si ha la sensazione che l’autore alterni le due tesi di un processo che a giudizio personale, non avranno mai la sentenza definitiva. Raccontare il labbro di Louisville è come nuotare nel cioccolato per un appassionato della Nutella. Rischi l’annegamento per eccesso di materiale. Alì era il giovane dilettante che avendo il terrore del volo, pensava di andare ai Giochi di Roma in treno. Ma divenne pure la farfalla che volava e pungeva senza che nessuno fosse in grado di fermarlo. Sonny Liston, sulla cui data di nascita le ipotesi spaziano tra 1925 e il 1929, era l’orso nero del ring, cresciuto nel ghetto più povero di Pine Bluff o in quello di Forrest City, sempre in Arkansas, Meno incerto che in quella baracca dove viveva assieme a numerosi fratelli e sorelle, il padre si accanisse a picchiare sempre lui.

Il carcere di Jefferson City rappresentava il luogo dove, tutto sommato, aveva trovato qualcosa di meglio della disperazione. Che un sacerdote ne avesse tracciato la strada verso il ring lo dice la storia. La mafia di Franckie Carbo e Frankie Palermo ne gestì la carriera, fin dal suo debutto nei pro. L’autore ripercorre in modo quasi ossessivo le due sfide tra Sonny e Alì. La prima come riporta il libro, al Convention Center di Miami Beach in Florida il 25 febbraio 1964, fu un fiasco dal punto di vista organizzativo. Solo poco più della metà dei 15.000 posti disponibili, venne riempita dal pubblico. Sonny sale sul ring da campione in carica, titolo conquistato e difeso contro Floyd Patterson, ma ne scende da ex. Il match viene descritto con tutti i dettagli attimo per attimo, per oltre trenta pagine. La conclusione al settimo round, con la resa di Liston apre un nuovo capitolo e non solo per i due pugili.

Tra le altre considerazioni, la certezza che Alì non fosse al corrente di tutto ciò che avveniva nell’ombra. La rivincita o meglio, la riperdita ha luogo al St. Dominic’s Hall di Lewinston nel Maine il 25 maggio 1965, presenti 2500 persone, minimo storico per un mondiale massimi. Match lampo. Liston va al tappeto su un pugno fantasma che nessuno ha visto. La sceneggiata prosegue a limite della farsa con Sonny che cerca di rialzarsi, ma finisce per sdraiarsi sulla schiena e le braccia dietro la testa in segno di resa. Su questa doppia partita in guantoni, si sono espressi le firme più illustri del boxing e anche l’autore si dilunga chiedendo il parere di alcuni colleghi di casa nostra. Forse esagerando sulla romanità dei soggetti, dimenticando che i testimoni più accreditati sono coloro che erano presenti. Che sul tema glissarono. Consultando “Liston mafia e Clay” di Lamberto Artioli, avrebbe tratto informazioni interessanti. Sonny proseguì a combattere e a vincere altre quattordici volte su quindici battaglie. Alì volò nel cielo dei grandi, superando siepi altissime, ma non ebbe la prudenza di sapersi fermare quando l’orologio del tempo diceva stop. Apprezzo il coraggio di schierarsi, anche se alla fine, di Sonny nessuno parla più, di Alì se ne parlerà all’infinito. Questa è la lezione, per certi versi amara.

Giuliano Orlando