Salviamo le Montagne. Un appello di Reinhold Messner: la recensione

Pubblicato il 23 marzo 2020 alle 15:00:59
Categoria: Libri di Sport
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Un grido d’allarme del più popolare alpinista del mondo, che nel suo ultimo lavoro leva alto al cielo con al speranza che non sia ignorato. Reinhold Messner che di libri ne ha scritto a decine, stavolta non racconta storie di conquiste e primati, non offre al lettore i momenti drammatici di salite o discese, in lotta con le condizioni climatiche più avverse. Racconta quello che è diventata la montagna, la trasformazione in un deposito di rifiuti, l’offerta di scalare come un viaggio a Parigi o Londra, venduti a pacchetti tutto compreso. Ho letto questo libro con crescente emozione e continuità di tristezza. L’uomo dei record, colui che per primo ha scalato tutti i quattordici 8000, fa anche mea culpa e invoca una svolta per evitare che i nostri nipoti trovino lo scheletro delle vette. Scrive che il popolo degli arrampicatori ha come primo oggetto il cellulare, per chiamare l’elisoccorso in caso di necessità. In montagna si fa attività sportiva modaiola, la montagna è diventata un bene di consumo. Pur di avere la neve, che orde di sciatori richiedono, la si inventa consumando acqua e erodendo spazi verdi senza calcolare i danni. Un tempo camminare in montagna era un male necessario, senza danneggiare l’ambiente.

Oggi l’escursionismo si è trasformato in caccia al trofeo e le orde non hanno limiti nell’offensiva percorrendo sentieri senza rendersi conto dei danni che provocano. Sono parole che l’autore grida al lettore, invocazioni disperate per fermare l’assalto a paesaggi e vallate per millenni vissute nel silenzio ed oggi violentate da eserciti armati di una tecnologia che li sta trasformando in villaggi del futuro senza futuro. Un libro scritto col cuore da un alpinista che alla montagna ha dato molto e dalla montagna tanto ha ricevuto. Non è solo negativo, lucidamente spiega che la differenza tra alpinismo e arrampicata col tempo ha preso precise differenze, che c’è stata un’evoluzione positiva. Si augura possa arrivare la sintonia tra turismo ed ecologia. Parla dell’Himalaya e spiega perché è doveroso salvarne gli ultimi misteri, perché gli sherpa debbono far parte dei membri delle spedizioni e di rispettarne la loro cultura. Dice: “Sul Kangchenjunga, la terza montagna più alta del mondo, non ho avuto esitazioni a fermarmi a pochi metri dalla vetta, per non ferire i sentimenti degli sherpa rispetto alla ‘divinità della cima’”. Poi conclude così: “Non abbiamo bisogno di altri comprensori sciistici sui ghiacciai, di laghi artificiali, di alpeggi da cartolina per trattenere i contadini in montagna. In montagna debbono andare quei turisti che consumano e pagano per quello che il contadino produce, affinché possa possa restare dove vive da generazioni. Le varie sagre della polenta, dove si punta a comparire nel prossimo Guinness di primati, sono ridicole e inutili”. Questo e molto altro, in un libro imperdibile.

Giuliano Orlando