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Nino Benvenuti, il re del ring italiano assoluto, ci ha lasciato a 87 anni.
Imbattuto da dilettante: 108 vittorie. Nessuno ha vinto come lui.
di Giuliano Orlando
Giugno 2021, a Roseto degli Abruzzi sono in corso di svolgimento gli europei U22 e Nino Benvenuti è stato invitato come ospite d’onore per l’ennesima premiazione. Il torneo era arrivato ai quarti e dopo il pranzo scherzando gli ricordavo di averlo scoperto nel 1955, quando disputò la preolimpica a Roma affrontando il brindisino Malcarne, 21 anni, che lo sovrastava sia nella stazza che in esperienza. Steve Klaus stava preparando la squadra per Melbourne dell’anno successivo. Nino aveva 17 anni e io ero alla prime esperienze giornalistiche. Segui quella sfida dalla televisione e capii che quel biondino elegante possedeva il tocco in più. Vinse alla grande, ma il mister scelse Franco Scisciani di Civitavecchia, che pure era stato nettamente sconfitto nell’ultima selezione a Porto Recanati. Quattro anni dopo, quando Nino colse l’oro a Roma, mentre Klaus aveva passato il testimone al suo migliore allievo Natalino Rea, mi spiegò la scelta. “Il papà di Nino mi aveva affidato quel talento che io chiamavo ‘ragazzino’ e aveva solo 17 anni. Era già il miglior superwelter di casa nostra, ma in Australia poteva trovare un certo Lazlo Papp, che avrebbe vinto la terza olimpiade, dopo quelle del ’48 e ’52. Non solo nei 71 kg. erano presenti il russo Karpov e l’americano Josè Torres che da pro sarebbe diventato campione del mondo. Oltre al polacco Pietrzykowski che a Roma contese l’oro a Clay nei mediomassimi. Ricordo che ci rimase male ed era comprensibile. Ma a Roma venne da me e ammise che avevo preso la decisione giusta”. Dopo quella “rimpatriata” della memoria, ci salutammo dandoci appuntamento alla cena, dove avrebbe ricevuto la cittadinanza onoraria di Roseto. Purtroppo Nino non intervenne e il motivo fu che aveva avuto problemi di stomaco. Il giorno dopo tornò a Roma. La roccia bionda dagli occhi azzurri aveva ricevuto il primo serio colpo di piccone. In seguito l’ho chiamato più volte al telefono, ma solo due volte ho potuto parlargli e per la verità le risposte erano coerenti, anche se un po’ lente. La moglie Nadia Bertorello, dopo molte insistenze mi spiegò che la situazione non era per nulla positiva. La memoria di Nino stava sfuggendo giorno dopo giorno e si aspettava il peggio. Il destino purtroppo era segnato per entrambi. Nadia, che Nino aveva sposato in seconde nozze nel 1998, la cui storia era iniziata molti anni prima, con la nascita della figlia Nathalie, ha chiuso gli occhi nel 2023, mentre Nino si è spento lunedì 20 maggio a 87 anni, compiuti lo scorso 26 aprile.
Dire che lo conoscevo bene è pleonastico, tutti gli italiani lo conoscevano, sia quelli che gli hanno stretto la mano o che lo hanno visto in tivù. Nino è stato in assoluto il campione del ring più popolare. Al di fuori della valutazione tecnica. Nato con le stimmate del fuoriclasse. Natalino Rea che lo ha allenato per diversi anni, mi raccontava che aveva mani d’acciaio: “Poteva fare i guanti contro un muro e sarebbe capace di sgretolarlo. Aveva pure le sue manie. La domenica si riposava in assoluto. Un altro lo avrei costretto a cambiare idea, con lui era diverso. Aveva una totale fiducia in sè stesso. Sapeva di essere bravo e questo era il suo mantra vincente”. Per correttezza di informazione, si legge che il record di Benvenuti sia di 108 vittorie e una sconfitta. Non è esatto, la sconfitta subita contro il turco Lufti ad Ankara nel 1956, dopo vari corsi e ricorsi, venne annullata. Praticamente un non contest.
Nino inizia a vincere subito, a 14 anni nel 1954 il tricolore novizi, a 17 in quel di Parma nel gennaio 1956 quello assoluto e si ferma solo nel 1960, al quinto alloro, passando dai welter ai 71 kg, prima di Roma e del passaggio al professionismo. Nel frattempo mette nella sua feretra due europei (1957 e 1959) dove trova e batte i finti dilettanti dell’Est Europa a cominciare dai sovietici. Al trionfo di Roma sono presente in veste di giornalista, sia pure piuttosto verde, ma innamorato di questo sport e di un campione che potrò seguire fino al ritiro l’8 maggio 1971 allo stadio Luis II di Montecarlo. Quando l’implacabile indio dagli occhi di ghiaccio Carlos Monzon lo ribatte prima del limite. Addio amaro e drammatico, dopo una carriera che tocca vertici assoluti. Nel suo percorso ci sono tappe talmente superlative che gli inciampi risultano ombre tenui e sfuggenti, Ripeto: Nino ha vinto tutto e ancora tutto. Nei pro inizia col titolo italiano nel 1963 battendo Tommaso Truppi, che gli ha fatto spesso da sparring, poi il 18 giugno 1965, centra il mondiale dei medi jr., nella storica prima sfida allo stadio di San Siro a Milano, ponendo Sandro Mazzinghi KO con un perfetto montante destro, studiato in palestra. Per il campione deposto una borsa di 22 milioni, per quello nuovo 15. Quattro mesi dopo a Roma, per completare la raccolta, fa suo l’europeo medi contro lo spagnolo Luis Folledo, spedito pure lui KO al sesto round. Nel frattempo il dualismo fra Nino e Sandro raggiunge livelli incredibili. La rivincita è fissata a Roma il 17 dicembre dello stesso anno. Il match arriva ai 15 round e i giudici ritengono all’unanimità che Benvenuti meriti la vittoria. Una sfida che il campione conduce bene per cinque round, facendo contare lo sfidante nella seconda ripresa. Ma il toscano è un guerriero indomabile e pressa l’avversario pur pagando prezzo altissimo, al punto che il suo angolo è convinto che la vittoria sia di Sandro. Non è così ma ci vorranno anni per riportare i due ad una pace sportiva. A sorpresa, ma con una certa faciloneria Nino lascia la cintura a Seul in Corea del Sud, dove Ki-Soo Kim, che l’italiano aveva dominato ai Giochi di Roma. Amaduzzi il suo manager e amico di vecchia data, ha fatto male i conti, perché i coreani pagano bene ma intendono vincere in ogni modo. Infatti dopo situazioni imbarazzanti, con le corde che cedono improvvisamente, mentre Ki é sull’orlo del KO. Ci vuole un quarto d’ora prima che si riprenda. Benvenuti fa il suo dovere e picchia duro, ma il coreano assorbe tutto e arriva all’ultimo round ancora in piedi. Il resto lo fanno due giudici che assegnano al padrone di casa vittoria e mondiale immeritato. Per consolarsi difende l’europeo, mentre si stanno preparando per la sfida con Emile Griffith in America, ovvero l’indimenticabile uno, due e tre, che passerà alla storia della boxe italiana come la trilogia più seguita dagli italiani. Ripetere quanto scritto da centinaia di giornalisti più o meno cogniti, che hanno raccontato quelle battaglie non è il caso, anche se la prima guerra è stata la più esaltante e seguita. A New York il 17 aprile 1967 la presenza italiana non certo minoritaria e il match è anche il capolavoro tattico e tecnico di Benvenuti, che diventa il campione WBC e WBA dei medi. L’Italia impazzisce e Benvenuti tocca il tetto della popolarità. Le altre due sfide seguono il segno del destino. A Griffith la rivincita e al triestino la bella. L’ apogeo è raggiunto, l’America conquistata e adesso c’è il raccolto della semina. Tre difese e qualche inciampo, ma la gloria di Nino prosegue fino a quel maledetto 7 novembre 1970, quando lo sconosciuto Carlos Monzon mata un Benvenuti forse vicino al deposito, ma incredulo di subire in modo tanto violento quei pugni che sembravano palle di piombo. Il tramonto diventa definitivo allo Stadio Louis II di Montecarlo l’8 maggio 1971, quando Amaduzzi getta la spugna per far finire la sofferenza di un Benvenuti, tanto generoso quanto improvvido, vittima di un Monzon che dimostrerà dopo il doppio trionfo di che pasta è fatto. Peccato che Amaduzzi non se ne fosse accorto. Il resto della storia un poco mi appartiene. Nel senso giornalistico. Nino dopo il ring da protagonista è rimasto sempre sulla cresta dell’onda e non poteva essere diverso. Apparizioni in tivù, inviti ovunque, premi e anche il cinema, riconoscimenti più che meritati, ma anche la dimostrazione che tra noi due esisteva stima reciproca. Nel 1983 esce “La Storia del Pugilato” con la prefazione di Gianni Brera, che vincerà il premio letterario del CONI, primo libro sulla boxe ad ottenere tale riconoscimento. L’amico Gianni Minà che conduce “Blitz”, seguitissima dagli sportivi e non solo, mi offre la possibilità di far conoscere il mio primo lavoro nella sua trasmissione. Non è finita, il bello deve arrivare quando arrivo a Roma. A presentare “La storia del pugilato” ci sono “solamente” Nino Benvenuti e Muhammad Alì! Lascio a voi il commento. Nel 2002, per la Sperling & Kupfer esce “Il mondo in pugno” col sottotitolo “Una vita a modo mio”. La prefazione è di Gianni Minà che di Nino può essere definito il cantore. Negli anni Nino ha scritto altri libri, ma, a giudizio personale, questo è il più vero e sentito. Lo recensisco con vero piacere e anni dopo, chiedo a Nino la dedica. E lui scrive: “Ad Orlando, che di me pugile, sa più del sottoscritto”. Nella prefazione del mio ultimo lavoro “Rocky Marciano The King” edito nel 2014, non poteva mancare Nino, che nella sua conclusione scrive: “I complimenti all’amico Giuliano Orlando, che ha avuto la sensibilità di farci conoscere un grande campione. Leggendone le imprese hai l’impressione che il tempo si sia fermato e stai seguendo dal vivo la carriera di un guerriero invincibile”. Ciao e grazie, grande, grandissimo Nino. Il campione che resterà nel cuore degli italiani per sempre.
Giuliano Orlando