Giochi di Mosca 1980 - A 40 anni di distanza, Franco Falcinelli allora c.t. azzurro, ricorda lo storico trionfo di Patrizio Oliva e svela fatti inediti

Pubblicato il 28 luglio 2020 alle 15:30:30
Categoria: Boxe
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Dopo le Olimpiadi di Roma 1960 e Tokyo 1964, trionfali per il pugilato azzurro, dove il bottino fu davvero sontuoso, con sei ori (Musso, Benvenuti, De Piccoli, Atzori e Pinto), tre argenti (Zamparini, Lopopolo e Bossi), oltre a 4 bronzi (Giulio Saraudi, Bertini, Valle e Ros), i guantoni di casa nostra restano a digiuno, per 16 anni. Zero medaglie a Città del Messico 1968, Monaco di Baviera 1972 e Montreal 1976. A rompere la striscia negativa ci pensò Patrizio Oliva, lo scugnizzo napoletano che compì un’impresa eccezionale, battendo in finale il grande favorito e idolo di casa, Serik Konokbayev, capitano della squadra dell’URSS. Ma come sempre accade, per far crescere un grande un campione e portarlo al top della condizione nel momento giusto è indispensabile che ci sia un altrettanto grande maestro, ovvero l’allenatore della squadra. Dopo il lungo regno di Natalino Rea, che aveva sostituito l’ungherese Steve Klaus, rilevare quel ruolo non era impresa facile per un tecnico giovane come Franco Falcinelli. Oltretutto, la vigilia di quei Giochi del 1980, non fu certo facile. L’Italia non era andata molto bene ai Giochi del Mediterraneo a Spalato e proprio Patrizio Oliva, si era infortunato e la situazione in prospettiva non era delle migliori. La sua partecipazione ai Giochi di Mosca, risultò per molti mesi appesa sul filo del rasoio di una forzata rinuncia. Sono trascorsi 40 anni, da quell’impresa e l’allora tecnico azzurro, Franco Falcinelli, ha percorso tutti i gradini della scala gerarchica pugilistica. Consigliere federale, Presidente FPI, Presidente EUBC fino alla vetta dell’AIBA, che ha poi lasciato volontariamente, mantenendo la presidenza continentale.

Ricordiamo come quel 1980 non fu facile per nessuno. Sul piano politico l’invasione dell’Afganistan da parte dell’URSS, innescò una serie di ritorsioni che coinvolsero anche lo sport, tanto che il presidente americano di allora, Jimmy Carter, mise in atto la ritorsione più clamorosa, dichiarando che gli USA avrebbero boicottato i Giochi di Mosca, invitando tutti i paesi amici a fare altrettanto. Una situazione complicatissima, che il CIO tentò invano di comporre, nel momento in cui la Cina, dopo l’uscita dal CIO nel 1956 ai Giochi di Melbourne, non accettando la presenza di Taiwan, che pareva intenzionata a rientrare, ci ripensò e non andò a Mosca. Il presidente del CIO, l’irlandese lord Killanin, contattò inutilmente i governi di USA e URSS, per comporre la diatriba. Ciascuno mantenne la posizione e a Mosca disertarono 65 nazioni, mentre altri 81 paesi furono presenti.

Presidente Falcinelli, come debutto ai primi Giochi olimpici in veste di responsabile della squadra nazionale, non le mancò nulla per rendere in ogni senso la spedizione, decisamente speciale.

“L’onorevole Franco Evangelisti, Presidente della FPI, mi affidò la squadra azzurra dopo un Consiglio Federale nel mese di dicembre 1979 su proposta del grande maestro Natalino Rea, che aveva lasciato da un paio d’anni la guida della Nazionale, ma era ancora un personaggio autorevole e molto rispettato. Oltre ad avermi conosciuto come atleta, era stato mio docente alla Scuola Centrale dello Sport e con il quale avevo poi collaborato come preparatore atletico e tecnico presso il Centro Nazionale di Fiuggi e di Verona. La notizia venne trasmessa su RAI sport, dopo il telegiornale. Me la riferirono alcuni amici, mentre assistevo al secondo incontro da pro di un mio grande atleta: Gianfranco Rosi. Il Centro di Preparazione della nazionale juniores che seguivo dai Campionati Europei di Dublino del 1978, era stato trasferito da Fiuggi a Perugia e il prestigioso incarico di guidare tutte le squadre azzurre mi obbligarono a chiedere di trasferire nel Centro perugino tutta l’attività internazionale. Sono ancora grato al presidente Ermanno Marchiaro ed al suo vice Luciano Fileni, per avermi concesso l’opportunità di allenare gli azzurri a tempo pieno”.

Anche la preparazione risultò rivoluzionaria e non tutti erano d’accordo. Lei aveva acquisito molte informazioni e viaggiato per il mondo, studiando non solo il sistema sovietico e quello cubano, ma novità anche in campo dietetico, quindi alimentare, affiancato da specialisti medici sportivi. Quali furono le reazioni sia da parte federale che degli atleti, che si trovarono ad allenarsi con sistemi nuovi?

“Dopo la Scuola Centrale dello sport e due anni di tirocinio con Rea e Poggi, ebbi l’opportunità di seguire la preparazione olimpica degli azzurri per i Giochi di Mexico 68 ad Addis Abeba in Abissinia; due mesi di specializzazione all’Istituto Superiore di Cultura Fisica di Mosca con il prof. Konstantin Gradopolov; un mese al Centro di Preparazione Olimpica di Cetniewo in Polonia con Felix Stamm; una settimana a Budapest in Ungheria con Lazslo Papp e Zsigmond Adler. Con i cubani attivammo la collaborazione dopo la vittoria di Damiani su Teofilo Stevenson ai mondiali di Monaco di Baviera nel 1982. Nel 1978 avevo pubblicato il libro “Metodi moderni di allenamento per la preparazione dei pugili”, molto apprezzato dai nostri Insegnanti e utile strumento di conoscenza specifica ancora oggi. Gli stages di “perfezionamento atletico e tecnico” a cui partecipavano tecnici e pugili di interesse internazionale offrì l’opportunità di trasmettere direttamente i nuovi sistemi di preparazione e di ottenne una migliore condivisione dei metodi di preparazione, oltre ad una più proficua collaborazione tra il Centro Nazionale e le società sportive”.

Ricorda come funzionava lo staff azzurro per la preparazione ai Giochi di Mosca?

“Il pugilato è uno sport di situazione che cambia rapidamente ed è legato ad un mix di variazioni tecnico-tattiche e percettivo-cinetiche, che sono influenzate anche dai consigli dell’angolo, dalle interferenze arbitrali, dal tifo del pubblico che generano intense pressioni emozionali e che fanno del pugilato in particolare, una disciplina sportiva in cui il fattore umano gioca un ruolo determinante. E’ quindi necessario utilizzare competenza tecnica, ma anche abilità psicologica di sostegno alla prestazione dell’atleta. Debbo molta riconoscenza allo staff medico della Nazionale, guidato centralmente dal prof Antonio Francone, e presso il Centro Nazionale la presenza del dottor Francesco Rondoni, ottimo cardiologo e medico sportivo, e di un eccellente ortopedico, dottor Sergio Cecconi, che mise a posto oltre la mano, anche una gamba di Oliva infortunatasi durante una partita di calcio. La parte dietologica era affidata al prof. Fidanza della facoltà di Scienza dell’Alimentazione dell’Università di Perugia. Purtroppo per ragioni di bilancio non avevamo altri paramedici né massofisioterapisti ed il massaggio pre-gara toccava al sottoscritto a Mela e Petriccioli.

Com’era la situazione della nazionale alla vigilia dei Giochi di Mosca?

“In quel dicembre del 1979, la situazione degli azzurri non era molto incoraggiante ma c’erano buone speranze per il recupero in particolare di Patrizio Oliva e di alcuni validi atleti che avevano disputato i Giochi del Mediterraneo di Spalato e che avevano riconfermato le loro qualità ai Campionati assoluti di Fano (26 novembre/1 dicembre 1979), dove conquistarono il tricolore: Pinna (48); Cherchi (51); Stecca Maurizio (54); Stecca Loris (57); Russolillo (60); Pirastu (63,5); Caso (67); Gravina (71); La Mattina (75); Cevoli (81); Damiani (81+). Nell’occasione fu un successo strepitoso della “Libertas Rimini” di Elio Ghelfi che piazzò tre atleti sul podio più alto: i fratelli Stecca e Cevoli. Patrizio Oliva uno dei talenti più prestigiosi di quel periodo, non partecipò ai Campionati, tenuto a riposo a seguito di un trauma riportato in occasione dei Giochi del Mediterraneo di Spalato e soltanto il 2 gennaio 1980, il Segretario generale FPI Vittorio Peconi, comunicò che l’Istituto di Medicina dello Sport del CONI l’aveva giudicato idoneo. Gli furono comunque prescritti ulteriori controlli elettroencefalografici, dopo il primo incontro ed ogni 4 mesi per tutto il 1980. Fu consigliato inoltre di adottare alcune misure terapeutiche per il “carpe bossu” della mano destra ed in ordine al regime dietetico di ridurre l’apporto lipidico, migliorando in proporzione l’apporto glicoproteico. Patrizio Oliva, allievo del bravissimo maestro della Fulgor di Napoli Geppino Silvestri, lo conoscevo dall’edizione dei Campionati Italiani di Torino 1976 ed avevo avuto la soddisfazione di guidarlo ai Campionati Europei di Dublino del 1978 dove, nei pesi leggeri, conquistò il primo titolo ”juniores” per l’Italia, dal 2008 denominati youth. In quell’occasione, Oliva realizzò un capolavoro tecnico-tattico, meritandosi gli applausi anche dei dirigenti internazionali. Il prof. Emile Jetchev, Presidente dell’EABA, si complimentò personalmente con me per il livello atletico e tecnico di Patrizio, che aveva eliminato il russo Boutchev, uno dei favoriti, il bulgaro Todorov ed il tedesco Kopzog. Il prof. Jetchev era anche uno stimato docente di programmazione e pianificazione della metodologia dell’allenamento all’Università di Sofia ed io colsi l’occasione per avviare una corrispondenza di cultura sportiva che mi fu molto utile dal punto di vista professionale, ma anche umano e…. olimpico, come evidenzierò più avanti”.

Quando e come iniziò la parte conclusiva in vista dei Giochi di Mosca?

“La preparazione ai Giochi della XXII Olimpiade 1980, iniziò a Perugia, nel mese di dicembre 1979, proseguendo a Grosseto dove allestimmo il dual match Italia-Francia che ci permise di valutare più compiutamente le grandi possibilità di crescita di Francesco Damiani, che si prese l’importante rivincita contro Dominique Nato, calabrese di spessore, trasferitosi in Francia. Oggi a 62 anni è in lizza per diventare presidente della federazione transalpina. A gennaio ci recammo a Madonna di Campiglio per un periodo di potenziamento organico e dove alcuni pugili misero gli sci per la prima e l’ultima volta nella loro vita. In particolare De Leva che sulla neve era sempre a pelle di leopardo. La fase “pre-olimpica” fu condotta a Piediluco nel ternano, località nota per il lago che ospita il Centro Nazionale di Canottaggio e a Nocera Umbra, nota per le sue acque minerali. Gli allenamenti collegiali iniziarono il 19 giugno ed io purtroppo non ebbi il tempo di stare con mia moglie il giorno in cui diede alla luce mio figlio Marco. A Piediluco furono convocati: Ciro De Leva, Franco Cherchi, Carlo Russolillo, Patrizio Oliva, Roberto Pirastu, Benedetto Gravina, Gaetano Ardito, Francesco Damiani e due giovani promesse, Biagio Zurlo e Gaetano Moretti, che furono costretti a lasciare il campo di allenamento dopo pochi giorni a seguito di uno scherzo messo in scena da Damiani e Russolillo. Alloggiavamo in un vecchio castello, luogo ideale per ipotizzare la presenza dei “fantasmi”. A notte fonda coprendosi con un lenzuolo bianco entrarono nella stanza dei due giovanissimi atleti e li spaventarono a tal punto che il mattino seguente ripartirono per Torre Annunziata. Con me collaboravano eccellenti Insegnanti di Pugilato: il maestro di sport Nazzareno Mela, in qualità di vice allenatore federale, Giorgio Petriccioli e Franco Mulas. Per la preparazione atletica, utilizzammo vecchi sistemi di preparazione e per potenziare le mani e le braccia, acquistammo delle asce con le quali in un bosco limitrofo gli azzurri abbatterono alcuni alberi. Gravina che era il più solido dal punto di vista muscolare prese di mira un pino gigantesco che cadendo si abbattè sul traliccio dell’alta tensione e mandò in tilt la corrente elettrica per mezza giornata in tutta Terni. Fummo denunciati ma grazie ai miei buoni rapporti con il vicesindaco di Terni, Bruno Capponi non subimmo condanne penali e amministrative. Dal 1° luglio, dopo tre giorni di riposo a casa, ci trasferimmo a Nocera Umbra per l’ultima fase della preparazione olimpica che si concluse il 15 luglio. Il comune ci mise a disposizione tutte le sue attrezzature sportive e la calorosa partecipazione della gente alle attività di allenamento resero il soggiorno molto piacevole. Il legame con Nocera Umbra è rimasto così forte che Damiani ha acquistato una casa dove trascorre molti giorni dell’anno per soddisfare la sua passione per la caccia. Oggi è un cacciatore di alto livello, ma all’inizio del suo hobby, il cane da caccia di mio padre fu impallinato ed invece della quaglia, morì l’incolpevole animale. Per garantire il massimo impegno nell’attività di sparring-partner convocammo validi campioni professionisti come Joe Messa, Martinese, Santos, Aldo Traversaro e Lorenzo Zanon. Che si prestarono con entusiasmo e impegno da allenatori di ottima qualità. La squadra che io proposi per Mosca era composta da Russolillo (60), Oliva (63,5), Gravina (71), Ardito (75) e Damiani (81+). Purtroppo il CONI non ritenne opportuno inserire Ardito e quindi partimmo con quattro pugili, un solo tecnico, l’arbitro/giudice Tallarico ed il Capo Delegazione Ermanno Marchiaro, in quel periodo vice presidente FPI. Prima della partenza il presidente FPI, l’onorevole Franco Evangelisti mi convocò al Ministero della Marina Mercantile, di cui era il titolare, e dopo aver ascoltato attentamente la mia relazione tecnica sullo stato di forma dei pugili, mi disse: “A Fra, assisti i pugili come fossero tuoi fratelli. Il miglior risultato non è vincere le Olimpiadi, ma fare bella figura senza mettere a rischio la loro salute”. Più o meno dello stesso tono l’avvertimento pronunciato da Mario Pescante, capo delegazione della squadra Olimpica azzurra, sull’aereo che ci portava a Mosca: “Maestro, l’importante è che li riporti tutti a casa in ottima condizione “. Per dirla tutta, la consapevolezza (infondata, visto il bilancio, ndr) che saremmo tornati a mani vuote e con le ossa rotte era molto diffusa. L’unico a crederci veramente era Patrizio Oliva il quale mi aveva richiesto, more solito, anche un gesto clamoroso e fuori dalle regole al momento dell’annuncio della sua vittoria. “Voi mi dovete promettere di entrare nel ring e sollevarmi con le braccia alzate”. Questo era un comportamento usuale nel professionismo, ma nei dilettanti non poteva essere tollerato. Era contro i regolamenti AIBA. Lo rassicurai e così fu! All’annuncio del verdetto entrai nel ring e lo sollevai. Fui richiamato verbalmente, ma non punito. Addirittura a Patrizio fu assegnata la “Coppa Val Baker” come miglior pugile del torneo. La seconda conquistata da un pugile italiano dopo quella ai Giochi di Roma 1960 riconosciuta a Nino Benvenuti!”

A questo punto dell’intervista mi permetto di intervenire, aprendo una parentesi conoscitiva, avvenuta nel corso della preparazione a Madonna di Campiglio, dove ero presente come inviato per un quotidiano e anche per Boxe Ring. Tra il sottoscritto e Falcinelli, esisteva una sana e simpatica rivalità, pseudo sportiva, in particolare sulla corsa lunga, dove ero in grande vantaggio. Giustificato il desiderio di Falcinelli di rivalersi su altri campi. Quando mi presentai nella palestra dove si allevano gli azzurri, fui invitato ad una seduta atletica piuttosto robusta, con esercizi vari, compresi quelli sulla tavola. Eseguii quanto richiesto e Franco era convinto che il giorno dopo, sarei rimasto a letto, praticamente incapace di alzarmi, per gli effetti del lavoro atletico a cui ero stato sottoposto. A sorpresa mi trovarono mentre sciavo con una certa disinvoltura e osservavo tutta la squadra che si arrabattava nel tentativo di restare in posizione verticale sugli sci, con scarso successo. Per fortuna di Thoeni e Gross, ma anche di Alberto Tomba, che non avrebbero rischiato il posto in nazionale. Anche in quell’occasione nella sfida con Franco, l’aveva spuntata la stampa. Riamando ad una prossima occasione, l’aneddoto ai mondiali junior a Lima in Perù nel 1990.

Quanto contano i sorteggi in una rassegna come i Giochi?

“I Tornei Olimpici, come tutte le manifestazioni internazionali, sono sempre strettamente legati ai sorteggi ed alle giurie. A Mosca il peggiore toccò al genovese Carlo Russolillo, che nei sedicesimi di finale si trovò subito di fronte il miglior pugile della categoria, il cubano Angel Herrera che poi vinse l’oro battendo in finale per KOT al 3° round il potente sovietico Demianenko. Carlo disputò un ottimo incontro cedendo onorevolmente ai punti. Anche il pugliese Benedetto Gravina, non ebbe un percorso facile. Al primo incontro si trovò di fronte il cecoslovacco Franek, che lo costrinse alla resa al secondo round. Franek a sua volta, si fermerà in semifinale contro il cubano Martinez, oro nei superwelter. Il massimo Francesco Damiani poteva giungere in medaglia ed anticipare la sfida con Teofilo Stevenson ai mondiali dell’82, ma un accesso al dente ne limitò sensibilmente il ritmo esecutivo e l’espressione della sua migliore tecnica. Fu sconfitto ai punti dal sovietico Zaev ai quarti di finale. Negli ottavi aveva debuttato con successo contro il quotato romeno Piriol. Francesco ricorderà sempre con rammarico di essersi rifiutato di curarsi il dente, come prescritto dai medici prima di partire per Mosca. Oliva ebbe il percorso più agevole. All’esordio eliminò senza fatica al primo round Agnan del Benin. Negli ottavi di finale ancora una autorevole vittoria per arresto del combattimento al terzo round contro il siriano Halabi. Nei quarti trovò un temibile avversario, lo jugoslavo Rusewski, campione del Mediterraneo 1979, che dominò ai punti. In semifinale si impose ai punti senza problemi all’inglese Willis, mentre nell’altro girone una mano ce la diede il fortissimo cubano Aguilar che pur perdendo, inflisse a Serik Konakbaev, due durissimi conteggi. La finale fu una durissima sfida. Era anche la rivincita della finale agli Europei del 1979 a Colonia in Germania. I primi due round risultarono molto intensi ed in sostanziale equilibrio. Al termine del secondo round Patrizio venne all’angolo e disse: “nun ce a facce cchiu”. Allora tirai fuori una frase che tenevo in serbo per i momenti drammatici: “Patrì, fallo per Ciro!”. A quel punto, i suoi occhi ebbero un lampo, come se il fratellino scomparso, al quale era molto legato, gli avesse profuso una dose di straordinaria energia. Oliva si lanciò sull’avversario vincendo il terzo e determinante round. Ed ora una confessione che pochi conoscono: rischiammo di non essere ammessi al Torneo Olimpico! Purtroppo, il nostro capo delegazione Ermanno Marchiaro, dopo aver preso parte alla riunione della Commissione Tecnica dell’AIBA non mi comunicò il giorno e l’ora del peso ufficiale fissato per venerdì 18 luglio, due giorni avanti l’inizio del Torneo Olimpico. Noi eravamo convinti che il peso ufficiale fosse per il giorno 19. Il venerdì mattina, in tutta tranquillità, ci recammo in pullman al campo di allenamento distante 40 km dal Villaggio Olimpico, proprio per preparare il peso del giorno dopo. Verso le 10, il custode della palestra arriva di corsa ed in russo mi invita a rispondere al telefono: “Pronto, chi parla? “A sonati, ma ‘ndò state? C’è il peso ufficiale e termina alle 12”. Era Mario Pescante! Una coltellata mi avrebbe fatto meno male. Damiani che non aveva problemi con la bilancia, lo feci partire subito con un taxi. Per gli altri tre, dopo aver verificato che erano tutti fuori peso, dovuto all’abbondante colazione, occorreva trovare una soluzione. C’era solo una possibilità: la sauna. Per fortuna nelle palestre russe non mancano mai. Li rinchiusi in sauna alzandola al massimo della temperatura. Gravina che non l’aveva mai fatta, voleva uscire e minacciava di sfondare la porta. Con l’aiuto del custode, avevo messo un chiavistello e riuscii a tenerli tutti dentro per una ventina di minuti. Dopo la cura d’urto, tra le sacrosante proteste, feci un rapido controllo del peso e senza fare la doccia, risalimmo sul pullman per completare la sudorazione. Arrivammo alle 12 e pochi minuti. Troppo tardi, ci dissero. Solo Damiani era in gara. Chiesi di parlare con il prof Jetchev che era Presidente della Commissione tecnico-organizzativa del Torneo Olimpico. In francese, gli spiegai tutto quanto era successo ed in virtù di quell’amicizia, nata a Dublino due anni prima, accolse le mie richieste ed ammise al peso i tre azzurri. A ripensarci, dopo 40 anni, mi viene ancora la pelle d’oca”. I verdetti nel pugilato furono straordinariamente corretti. Delle 10 Olimpiadi a cui ho preso parte come tecnico e come dirigente, i Giochi di Mosca sono i stati i più eticamente corretti ed il fattore campo non ha giocato quel ruolo che solitamente pesa con i verdetti concessi come “premio organizzativo”. Purtroppo, mentre festeggiavamo la grande impresa di Patrizio e degli azzurri ai Giochi di Mosca tutto si spense quando venne diffusa la tragica notizia della strage terroristica che aveva colpito Bologna e l’Italia proprio il 2 agosto 1980. Un vero colpo maligno, inaspettato”.

Quale ambiente trovò in quell’edizione decisamente particolare? Com’era Mosca nel 1980?

“I Giochi di Mosca, nonostante il boicottaggio furono di straordinaria bellezza. Iniziarono con una fantastica cerimonia d’apertura allo Stadio Lenin e il discorso del segretario dell’URSS, Leonida Breznev e si conclusero il 3 agosto con una altrettanto bella cerimonia di chiusura. Mosca e tutta l’URSS meritavano una grande Olimpiade. Purtroppo gli sviluppi politici derivanti dall’invasione dell’Afghanistan con la ritorsione degli USA e l’adesione di molti paesi filoamericani al boicottaggio non permisero la universalità dei Giochi della XXII Olimpiade. I paesi che, come l’Italia, non si allinearono alla scelta americana e cercarono di rispettare le regole del CIO, dovettero sottoporsi a drastiche limitazioni. Alla cerimonia di apertura sfilava solo il cartello del Comitato Olimpico seguito dalla bandiera del CIO. Un’altra grande amarezza fu la mancanza della nostra bandiera sostituita da quella del CIO e l’Inno di Mameli, sostituito da una versione abbreviata di quello olimpico, durante la premiazione di Oliva. Nel 1980 a Mosca vivevano 8 milioni di abitanti. L’ordine regnò sovrano per tutto il periodo olimpico. La cortesia e l’attenzione del popolo e delle stituzioni sovietiche fu commovente. Il pubblico sempre molto numeroso, disciplinato e sportivo”.

Giuliano Orlando