Mondiali femminili a Istanbul. Irma Testa argento, Alessia Mesiano bronzo

Pubblicato il 24 maggio 2022 alle 09:05
Categoria: Boxe
Autore: Redazione Datasport

ISTANBUL. Detto in tutta sincerità, ai mondiali femminili svoltisi a Istanbul in Turchia, l’assenza di Russia e Bielorussia escluse per l’invasione dell’Ucraina e quella imposta dalla pandemia di Cina e Filippine, si sono fatte sentire molto meno del previsto, anche in termini di qualità. Non fosse stato per certi verdetti e per la scarsa personalità e modestia di alcuni arbitri, il torneo che ha superato il record di nazioni (73) e atlete (310), anche se la Rai ha sparato 93 paesi, la qualità media è stata sicuramente la migliore. Che siano saliti sul podio ben 26 paesi ed in finale 18, significa che i valori al vertice si sono ampliati a beneficio di quella pluralità auspicata per una crescita sempre più allargata, Significativo il primo oro della Lituania e i primi podi per Kosovo, Algeria, Uzbekistan, Spagna, Mozambico e Algeria. Mentre nel 2019 ad Ulan Ude in Russia, il primo podio lo conquistarono il Nord Korea, il Vietnam, Bielorussia e Marocco. La vendemmiata della Turchia (11-7-15), con 5 ori, conferma quanto il fattore campo influenzino arbitri e giurie. Senza per questo ignorare la forza d’assieme della squadra ottomana, spesso sul podio ma solo sette volte all’oro prima di Istanbul, dove con cinque vittorie, sale al terzo posto assoluto, alle spalle di Russia (24-10-26) e Cina (19-15-16), precedendo India (10-8-21), Canada (9-2-10), USA (8-9-20), Korea del Nord (8-7-9), Irlanda (8-1-1), Kazakistan (5-5-12) con l’Italia (4-5-4) decima, in una classifica che ha raggiunto le 55 nazioni a podio. In partenza solo Turchia, Ucraina, Kazakistan e India hanno presentato le squadre al completo (12 categorie), a seguire il Kenya, la Korea e l’Uzbekistan (10), l’Irlanda e la Mongolia (9), Italia, Polonia, USA, Giappone e Sudafrica (8) Taipei e Germania (7), Marocco, Bulgaria, Thailandia, Serbia (6) le squadre più numerose. Con tutta la buona volontà, non ho capito i criteri dei sorteggi. Un solo esempio: la nostra Angela Carini, argento nel 2019, debutta con la turca Surmeneli, oro uscente, confermato a Istanbul. In compenso la keniana Oldo salta il primo turno. L’altra negatività riguarda la disparità dei giudizi. Nella parte alta dei 48 kg. cinque degli otto match d’apertura, finiscono 3-2, con sei-sette punti tra vincitori e vinti. In questo tritacarne, è finita anche Roberta Bonatti, ingiustamente battuta dalla giapponese Wada con un 3-2 bugiardo. Il problema non è nuovo, anzi è vecchio e, purtroppo si sta dilatando, il che porta acqua al mulino del CIO, sempre più orientato a cancellare la boxe dopo Parigi 2024. Il solo pensiero fa venire i brividi, per uno degli sport storici. Basta pensare che il primo campione olimpico di boxe risale al 688 a.C. e si chiamava Onomasto da Smirne. Ce lo siamo meritato? La domanda è crudele come la risposta. Di certo i vertici dell’AIBA hanno preso parte attiva a scavare la fossa. Mi domando come non si riesca a portare ad una valutazione omogenea di giudizio dopo mezzo secolo di discussioni. Da Rio 2016, sembrava che i vertici fossero decisi a dare l’orzata decisiva, invece non è cambiato nulla. Ogni continente fornisce il materiale umano che ha, ma la qualità è decisamente diversa. Ci sono nazioni in Asia, Africa e Americhe dove l’attività è irrisoria, dove in occasione di mondiali e Giochi, nel rispetto della globalità, troviamo persone impreparate e quindi negative. A Istanbul agli eccessivi 3-2, ha fatto da contraltare la mancanza di richiami ufficiali. Se l’arbitro del Guatemala che ha diretto la finale dei 57 kg. tra la Lin di Taipei e la nostra Irma Testa, avesse avuto la giusta esperienza avrebbe saputo valutare le sottili scorrettezze dell’asiatica e quelle dell’azzurra. Che si trova a disagio nella rissa. Non sapendo distinguere, ha fatto degenerare la sfida, impoverendo la qualità del match, a tutto vantaggio della Li, che ha costruito la carriera su questa linea. Confesso che dopo la bella vittoria di Irma sull’indiana Manisha, già presente ai mondiali 2018 in casa, che conosceva, avendola superata anche in precedenza, mi ero illuso potesse farcela per l’oro. Con tutto questo rendo omaggio alla nostra splendida campionessa, che pur perdendo ha mostrato sia pure a sprazzi, un fraseggio tecnico superiore. Toccava al senior Arreaga, fermare la Lin quando usava certi colpi e altro, sfruttando furbescamente l’attimo favorevole. Con tutto questo, l’argento dell’azzurra, al primo mondiale assoluto, dopo il bronzo olimpico, conferma quanto il futuro di vertice sorrida alla nostra ambasciatrice, che per arrivare in finale ha battuto la Camara del Mali, la giapponese Kimura, la tosta polacca Kruk, l’uzbeka Turdibekova e la Manisha nel più bel confronto del torneo. C’è stato anche il simpatico siparietto di chi dato ampio resoconto che Irma nei quarti abbia affrontato e battuto Zhaina Shekeberkova, kazaka di 32 anni, descrivendo la sfida nei minimi particolari. Sono cose che capitano, ma andrebbero evitate, da chi si erge a vate. Non meno elogi merita Alessia Mesiano, che ha inserito nel suo sontuoso carnet iridato, oltre all’oro 2016 a Baku in Azerbajan, il secondo bronzo bissando quello conquistato nel 2014 nell’isola di Jeju in Corea del Sud. La bella romanina, rimesse a posto le mani dopo tante stagioni di tormenti, a 30 anni ha ritrovato la voglia di primeggiare e risalire sul podio, con un percorso di tutto rispetto. Dal debutto positivo contro la turca Yldiz, che si era qualificata a Tokyo, titolare agli europei 2019, proseguiva superando la portoricana Tapia, che le ha provate tutte per metterla in rissa, con scarso successo. Nei quarti trova la greca Cani, bronzo mondiale uscente, una delle favorite, tenuta a distanza da Alessia, più ordinata e precisa. Contro la brasiliana Ferreira, oro uscente e argento a cinque cerchi, ha lottato generosamente, ma la sua rivale aveva più benzina e la sconfitta va accettata con l’onore delle armi. Nel consuntivo, solo la grande Simona Galassi ha fatto meglio. Delle altre italiane, le nostre Giordana Sorrentino (50) e Assunta Canfora (63), sono uscite nei quarti a dispetto di quando dato sul ring. Contro l’uzbeka Yokubova la guerriera romana ha colpito più preciso, costringendo la rivale a gettarsi in avanti sbracciando e colpendo per linee esterne, spingendo e legando, senza che l’arbitro avesse il coraggio del richiamo ufficiale, limitandosi a consigli amichevoli da zio di famiglia, Ragion per cui quattro giudici la ritennero meritevole del successo, due addirittura per 30-27, da non credere. Solo l’algerino assegnava la vittoria all’azzurra. Altrettanto scandaloso il verdetto favorevole all’olandese Heijnen, vecchia conoscenza già ai mondiali youth e tornei giovanili, che si è trovata sul podio, al posto di Assunta Canfora, tanto generosa e resistente, quanto vittima di tre giudici, che hanno capovolto l’andamento di una sfida intensa, dove l’azzurra metteva sempre un colpo in più. Purtroppo solo due giudici valutavano con criterio, gli altri tre incapaci di interpretare la realtà dei fatti. Nei 52 kg. l’ucraina di nascita, abruzzese di residenza e passaporto, Olena Savchuk, debuttava al meglio battendo la coreana Kim, sempre anticipata, si ripeteva contro la tedesca Satorius con netti 5-0, e avrebbe potuto spuntarla anche sulla kazaka Sherbekova in semifinale, se avesse messo quella rabbia che meritava la conquista del podio e il premio sicuro di 25.000 dollari. Torneo in chiaro-scuro per Sirine Charaabi (54), partita bene contro la coreana Jin, non altrettanto di fronte alla dominicana Allmanzar, facendosi sorprendere dalle sfuriate dell’americana e troppo spesso fuori misura. Una giornata no, pagata cara. Al di fuori del sorteggio iniquo, la sfortuna è stata accanto ad Angela Carini, che si è procurata una slogatura alla caviglia destra, scivolando su tappeto nel primo round, contro la turca Surmeneli, volata poi all’oro con sonanti vittorie. Il torneo iridato. Nel bilancio complessivo, la Turchia l’ha fatta da padrona come da pronostico, con merito e qualche spinta dei giudici. Dei cinque successi, due sono stati graziosi omaggi. Mentre l’Irlanda ha fatto il bis con pieno merito.

48 kg. La turca Cagirir, 27 anni, dopo aver fallito ai mondiali 2014; uscita agli ottavi contro la russa Isaeva, non molto meglio nel 2018 in India, giunta ai quarti, fermata dalla mancina ucraina Okhota, al terzo tentativo, ci hanno pensato gli arbitri. In semifinale contro l’argentina Florentia Lopez, 25 anni, che l’ha sempre anticipata e avrebbe meritato la vittoria. La kazaka Balkibekova, giunta in finale con una spinta contro l’indiana Nitu, forse la migliore in assoluto, eliminava la stagionata bulgara Asenova, 37 anni, già europea, sul ring da oltre un decennio, presente ai mondiali 2014, 2016, 2018, 2019, non è andata bene neppure alla quinta, costretta alla resa al primo round, colpita dal destro dell’asiatica. La kazaka vinceva bene i primi due round, specie il secondo, facendo valere la sostanza dei pugni. La Cagirir, consapevole di essere indietro dava tutto nel round conclusivo e il tifo del pubblico convinceva anche i giudici che (3-2) premiavano la pugilessa di casa.

50 kg. La Cakiroglu, già presente nel 2018 ad Astana, subito eliminata dalla bulgara Petrova-Krastaeva nei 54 kg. e dopo la doppia delusione, prima ai mondiali 2019 in Russia, battuta in finale dalla russa Abbataeva e poi a Tokyo, dove la Cakiroglu era data favorita dopo aver dominato la selezione europea, veniva sconfitta sempre in finale, ancora dalla veterana bulgara Krastaeva, già Stoyka prima del matrimonio, 36 anni, tra la sorpresa generale. A quel punto la turca risaliva con successo nei 50 kg. e si imponeva sul lotto delle pur accreditate pretendenti. Abilissima nella boxe di rimessa, mobile e precisa, ha vinto giustamente il mondiale, disputando cinque match, il più difficile contro la spagnola Fuerte in semifinale che ha ceduto alla distanza con onore. Nella finale contro la colombiana Valencia, tutta temperamento. è andata sul velluto, Della Sorrentino ho già detto.

52 kg. L’indiana Zaren Nikhat, che nel 2011 ottenne l’oro iridato jr., dopo la prima esperienza nel 2016 ad Astana in Kazakistan, fermata dalla cinese Liu, giunta al bronzo, quest’anno si è riportata ai vertici nazionali vincendo il prestigioso torneo Strandja a Sofia e battendo nella selezione interna la Boro. La sua vittoria ha salvato il bilancio dell’India, partita con la squadra al completo e molte ambizioni. Solo tre sul podio, fermate in semifinale la Manisha (57) e la Parven (63), toccava appunto alla Nikhat riportare l’oro in India che mancava dal 2018, quando la più popolare sportiva indiana Mary Kom, vinceva il sesto mondiale a conclusione di una carriera iniziata nel 2001 a 18 anni, ai primi mondiali femminili a Scranton (Usa) con l’argento, per proseguire fino al 2019 in Russia a Ulan Ude, conquistando a 36 anni il bronzo, fermata in semifinale dalla turca Cakiroglu. La Nikhat ha imposto la sua boxe aggressiva a tutte le rivali, la messicana Herrera, la mongola Lutsaikhan, l’inglese Taylor e la mancina brasiliana in semifinale. Per l’oro ha regolato la thai Jitpong, alla terza partecipazione iridata, forse stanca per un percorso faticoso.

54 kg. Vince la turca Hatice Akbas, 21 anni e molte ambizioni, il titolo europeo U22 lo scorso marzo a Porec in Croazia e il mondiale in casa a Istanbul. Percorso iniziale abbastanza agevole, battendo la tedesca Nassar, l’armena Sycheva e la non più verde bulgara Stanimina Petrova, 37 anni, forse giunta al deposito, attiva dal 2008, due titoli europei (2018 e 2019), presente ai mondiali dal 2010, vincendo l’oro nel 2014, oltre a due argenti (2016 e 2018). Già contro la thailandese Tintabthai la locale dovette spendere molte energie e non meno ne ha spese in finale di fronte alla romena Perijoc, europea in carica, in grande condizione battendo la Huang (Taipei) iridata uscente, e la forte kazaka Kholaman, che aveva eliminato la serba Zekic, vincitrice all’esordio della francese Cruiveller, argento 2019. La romena in finale ha imposto lo scambio prolungato, al quale la turca ha risposto quasi alla pari, Fuori casa avrebbero indicato la Perijoc, a Istanbul il 3-2 non fa scandalo, ma conferma il condizionamento dei giudici.

57 kg. Già detto delle due finaliste, la kazaka Ibragimova, scesa di categoria, ha ripetuto il bronzo del 2018, in una categoria dove mancavano sei delle prime otto dal 2019.

60 kg. Nel segno che la vendetta consumata a freddo, ha un gusto più forte, Rashida Ellis (Usa), 26 anni, atleta di colore, ha aspettato tre anni, per prendersi la rivincita contro la brasiliana Ferreira, mamma portoghese, papà ex pugile e sparring del leggendario Acelino Freitas uno dei miti carioca, che l’aveva eliminata in semifinale a Ulan Ude in Russia, per vincere l’oro ai danni della cinese Wang. La Ellis guidata anche lei dal padre, bocciata a Tokyo, battuta dall’emergente baby inglese Dubois, mentre la brasiliana arriva all’argento, stoppata in finale dall’irlandese Harrington, una volta rientrata in patria ha studiato in ogni particolare la tecnica della Ferreira, trovando le giuste contromosse, messe in atto a Istanbul. Match tattico, finito in grande equilibrio, tre giudici, tutti con 30-27, per la Ellis, due (30-27, 29-28) per la cariosa. Confermando la disomogeneità delle valutazioni. Casualmente (?) i due asiatici (Filippine e Mongolia) per la brasiliana, turco, canadese e tunisino (Nord Africa) nettamente per la Ellis. Un caos, confermato anche in altre finali.

63 kg. Nei pronostici l’algerina Khelif, 23 anni, che aveva vinto molto nelle ultime stagioni anche tornei europei, presente a Tokyo, fermata dall’irlandese Herrington, pigliatutto tra il 2018 e 2021 (mondiali e Giochi) sembrava matura per il titolo mondiale. Partita bene superando la kazaka Abikeyeva, la quotata greca Papadatou e l’olandese Heijnen, trovava in finale un’altra irlandese, la coetanea Sara Broadhust, non certo una sconosciuta ma ancora alla ricerca di un titolo importante. Nella sfida diretta il furore agonistico della irlandese si dimostrava superiore all’allungo della più alta africana, che tentava in ogni modo di arginare la scatenata rivale. Niente da fare, l’allieva di Zaur Antia e John Conlan, polmoni a mantice ha attaccato fino all’ultimo secondo, vincendo nettamente. Tra le sconfitte l’ucraina Bova, argento 2018.

66 kg. Tutto secondo pronostico, con la turca Surmeneli che ha fatto una passeggiata, bissando il titolo del 2019, dagli europei 2019, quando venne sconfitta tra le polemiche dalla russa Sandakova, questa mancina di 24 anni ha spopolato, vincendo l’oro ai Giochi, con una boxe completa e potente al punto che potrebbe battere parecchi maschi di vertice. A Istanbul ha vinto tre match su cinque per rsc, compresa la finale contro la canadese Cavanagh, classe 2000, molto promettente, ma troppo tenera per la turca che l’ha costretta alla resa al terzo round, ormai svuotata di energie. A questo punto la soluzione migliore è il passaggio al professionismo, dove a tempi brevi potrebbe guadagnare tanti dollari. Per la cronaca e la storia, la Surmeneli il primo squillo vincente lo ha emesso ad Assisi nel 2014 vincendo l’europeo jr. bissando il trionfo l’anno dopo in Ungheria, militando nei 75 kg. considerando che la ragazza non è mai stata una muscolare, piuttosto cicciottella, ma terribilmente veloce di gambe e braccia, un talento naturale. Campionessa europea anche nelle youth nel 2016. Esordisce ai mondiali assoluti nel 2018 a vent’anni, esce subito contro la russa Sandakova a 75 kg. Quando l’anno dopo si ripresenta nei 66 kg. inizia l’ascesa che prosegue senza soste.

70 kg. Confermando l’inesauribile vivaio della boxe irlandese, in particolare il settore femminile, ecco spuntare Lisa Edel O’Rourke, vent’anni appena compiuti, capelli color carota come la sorella Acife, che vinse l’europeo 2019 nei medi. Lisa si era presentata agli europei U22 a Porec, mettendo tutte d’accordo e si è confermata a Istanbul ponendo in ragione l’armena ambiziosa Hovsepyan che rientrava tra le favorite, dopo aver battuto l'ucraina Siedaia prima del limite. Contro l’irlandese niente da fare, come accade alla turca Caliskan, sulla quale puntavano i tecnici locali. In finale ci arriva l’inedita Panguane del Mozambico, che ha svolto la preparazione in Europa, mostrando qualità atletiche incredibili, battendo in semifinale la kazaka Khalzova, che aveva dominato il primo round, ma soffrendo il lavoro sordo al corpo dell’africana. Tutto questo in finale non è servito alla Panguane, contro la migliore qualità e resistenza dell’irlandese. Il verdetto 4-1, è macchiato dal giudice algerino Athmen; in chiara confusione, ha assegnato all’africano un 30-26 da brivido!

75 kg. La Turchia puntava sull’inedita Isildar, classe 2002, vincitrice a sorpresa degli assoluti nazionali, che partiva bene battendo la kazaka Ryabets, ma inciampava sulla sempre verde Bylon, 33 anni di Panama, che dopo l’oro regalato nel 2014 dall’AIBA di Wu e Kim, ha proseguito a combattere con alterna fortuna, sempre presente ai mondiali successivi, salvo il 2018, senza mai risalire sul podio. Ci è riuscita questa volta, battendo in semifinale la francese di colore Davina Michel, unica sopravvissuta delle transalpine che speravano soprattutto su Bennama (48), Moulai (50) e Cruveillier (54) argento uscente. Tutte eliminate prima del podio. La mancina Michel partiva bene, battendo l’uzbeka Movlova e l’inglese Davis, arenandosi contro la Bylon più attiva, In finale ritrova la canadese Thibault, mancina molto decisa e resistente, alla terza presenza iridata, bronzo nel 2019, che si era imposta alla panamense nella finale dei Panamericani a Santiago de Guayaquil in Ecuador, disputati a marzo. Stesso risultato a Istanbul, confermando la migliore qualità tattica e tecnica della canadese, premiata con un oro atteso del 2010, quando il Canada con la grande Mary Spencer si impose in finale alla cinese Li Jinzi, sempre nei 75 kg. sul ring di Bridgetown nelle Barbados.

81 kg. Come sono severo quando i giudici sbagliano, è corretto sottolineare quando hanno il coraggio di assegnare la vittoria ad atlete che sia pure di misura battono uno degli idoli di casa. E’ capitato nella semifinale tra la turca Elif Guneri, 34 anni, ai vertici dal 2008, oro europeo 2016 e 2019, bronzo mondiale 2014, 2016 e 2018, argento 2019, che aspettava la grande occasione davanti al pubblico di casa e la giovane lituana Gabriele Stonkute, 21 anni compiuti in aprile, oro agli europei U22 a Roseto degli Abruzzi, dalla boxe lineare e ottima preparazione. La loro sfida era stata appassionante ed equilibrata anche se qualcosa in più aveva fatto la nordica. Il problema era se i giudici avrebbero riconosciuto questo vantaggio. Solitamente non accade quasi mai. Stavolta la bulgara Kavaklieva, il kuwaitiano Allalkawi e il mongolo Byambarayar hanno segnato 29-28 per la lituana, mentre la romena Ramona e il portoricano Pizzarro si son adeguati al tifo locale segnando 29-28 per la Guneri. La Stonkute meritava la fiducia anche in finale, imponendosi dopo un avvio in salita contro l’altro giovane talento polacco, la ventenne Toborek partita a mille, ma calata lungo i tre round, mentre la Stonkute cresceva e vinceva giustamente, portando in Lituania il primo mondiale assoluto.

+81 kg. La turca Sennur Demir, 40 anni il 10 agosto, non poteva augurarsi un commiato dalla boxe agonistica più felice. Dopo aver inseguito a fallito l’oro europeo dal 2009, fermandosi a due bronzi (2016 e 2018), sembrava dover subire la stessa sorte pure a livello mondiale, dove si era fermata al bronzo nel 2016 e all’argento 2018 nei 75 kg. Al quinto tentativo la Demir compie il miracolo. E lo fa con pieno merito, superando al via la kazaka Kungeibayeva e poi la colombiana Romero. In semifinale si impone netto alla polacca Fidura, per ritrovare nella sfida all’oro con la marocchina Mardi, che nel 2019 a Ulan Ude le era stata preferita (3-2) nei quarti. Entrambe nei medi. Il salto di due categorie ha mantenuto l’equilibrio tra le due, fino a metà dell’ultimo round, quando la turca trova forza e misura per colpire meglio e portare nel suo carniere quel mondiale che rende il bilancio finale superlativo. Un addio gioioso, pieno di applausi e sorrisi. Dai +81 ai 48 kg. per l’altro commiato, quello della romena Steluta Duta, 40 anni compiuti il 18 marzo, esordiente agli europei nel 2005, battuta in semifinale battuta dall’azzurra Laura Tosti, oro nei due anni successivi (2006-2007), bronzo anche nel 2009 e nel 2018, nell’ultimo europeo 2019, la ferma la nostra Roberta Bonatti nei quarti. Ai mondiali non ha mai avuto fortuna, a Istanbul subito out contro l’indiana Nitu. Resta comunque la più longeva con una quindicina di titoli nazionali e molti successi nei tornei europei. La sua boxe molto muscolare metteva paura e solo dopo i trent’anni ha dovuto lasciare spazio alle nuove leve.

La dodicesima edizione iridata femminile ha confermato una sola titolata di Ulan Ude 2019, la truca Surmeneli, contro dieci nuove campionesse e il bis della Lin, oro nel 2018. Il segnale più importante è la giovane età di tre vincitrici, Akbas e Stonkute 21 anni, la O’Rourke 20 anni, ovvero la metà dell’età della Demir. Molto cambia anche nel settore femminile e il segnale più importante è che sul podio di Istanbul siano salite ben 26 nazioni.

Giuliano Orlando