Ricordo di Marvin Hagler, il Meraviglioso mancino, un mito della grande boxe

Pubblicato il 19 marzo 2021 alle 20:00:15
Categoria: Boxe
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Faccio fatica a crederci, eppure il “Meraviglioso” non c’è più. Si è accomiatato senza fare rumore, sorprendendo il mondo della boxe e non solo, che lo considerava un campione assolutamente indistruttibile anche dopo aver appeso i guantoni. Decisione presa dopo il ‘furto’ subito contro Ray Sugar Leonard sul ring di Las Vegas il 6 aprile 1987, che gli costò il titolo dei medi in suo possesso dal 1980 e difeso dodici volte. Il tredici non gli portò fortuna e quella sconfitta non l’aveva mai digerita. Personalmente la penso come Hagler, pur rispettando l’opinione di altri. L’aspetto sconcertante della vicenda e che qualcuno parlò di combine, compreso un collega italiano, che riteneva di sapere quello che altri ignoravano. Smentito dai fatti. Questo, ha sempre pensato Marvin Nathaniel Marvelous Hagler, nato a Newark il 23 maggio 1954, primo di una nidiata che prosegue con quattro femmine, frutto della relazione tra mamma Ida Mae Hagler e Robert Sims, che solo nel 1959 si sposarono e nello stesso anno nacque Robbie, a sua volta pugile, bravo ma non quanto Marvin. La notizia della sua morte arriva nella tarda serata del 16 marzo, dal New Hampshire, lo stato attiguo al Massachusetts, dove a Brockton e a Boston, i coniugi Hagler hanno appartamenti e uffici. L’annuncio appare su Facebook, sul sito del Fan Club del campione. Poche parole, inviate dalla moglie, Kay Guarino Hagler, nata a Napoli, cugina di Luciano Buonfiglio, presidente nazionale della Canoa-Kajak da diversi quadrienni. Dice: Mi dispiace fare questo annuncio molto triste. Oggi purtroppo il mio amato marito Marvelous Marvin è morto inaspettatamente nella sua casa nel New Hampshire. La nostra famiglia vi chiede di rispettare la nostra privacy in questo momento difficile. Con amore. Kay G. Hagler. Altro messaggio qualche giorno dopo, per chiarire l’infondatezza della notizia che sarebbe stato il vaccino anti Covid a determinare il decesso. “Sono l’unica persona ad essergli stata accanto fino all’ultimo e l’unica persona che sa come sono realmente andate le cose, Nemmeno la sua famiglia conosce i dettagli. Non accetto di leggere qualche stupido commento di chi non sa cosa sia veramente accaduto. Di sicuro non è stato il vaccino che ha causato la sua morte. Il mio bambino se ne è andato in pace con il solito sorriso e non è questo il momento di dire sciocchezze”. Forse in futuro ne sapremo di più, ma il dettaglio per quanto importante, lo reputo secondario al dolore sincero che ha causato la sua scomparsa.

Il percorso pugilistico di Marvin prende avvio molto presto, a Brockton la cittadina del Massachusetts, dove era nato Rocco Francesco Marchegiani, papà abruzzese di Ripa Teatina, mamma di S. Bartolomeo nel beneventano in Campania. Nel 1923 nasce il futuro campione, in arte Rocky Marciano, re dei massimi dal 1952 al 1956, l’eroe assoluto, mito e orgoglio degli italo americani. Deceduto nel 1969 a soli 46 anni per un incidente aereo.

Nel 1970, mamma Mae vi si trasferisce con tutta la prole e nonna Bessie, ad eccezione del marito, sparito nel nulla. Marvin è un ragazzino di poche parole, i primi veri amici sono una tartaruga e i piccioni. Prova a giocare a basket e baseball, ma quando a dieci anni gli regalano un paio di guantoni, intuisce che quello sport fa per lui e diventa la sua passione. Inizia a lavorare in un negozio dove vendono dai dentifrici ai giocattoli, cartoline e chincaglieria varia. Poi nel cantiere edile dei Petronelli, genitori di Casavecchio nel foggiano, sbarcati negli USA, ai primi del 1900. Quando smonta entra in palestra dove trova il suo vero mondo. Il gym è gestito dai suoi datori di lavoro che capiscono al volo quanto quel ragazzino di poche parole, sappia parlare molto bene con i pugni. Che scaglia sia al sacco che facendo i guanti contro pugili più anziani ed esperti. Pat e Goody Petronelli, resteranno al suo fianco fino al ritiro nel 1987. Quando debutta al professionismo ha alle spalle un ricco curriculum nei dilettanti e la convinzione di essere un predestinato. Cranio rasato a zero su consiglio di mamma Mae, l’unica capace di farsi rispettare da Marvin. Che nel frattempo va a vivere con Bertha, una florida ragazza dieci anni più anziana di lui, che porta in dote due figli Jimmy e Celeste, subito adottati ai quali seguiranno Marvin jr. e più tardi nel 1981, Charelle. Quando nasce Marvin jr. nel 1971, il padre ha ufficialmente 19 anni, in realtà solo 17, in quanto i Petronelli per farlo debuttare sul ring prima dei 15 anni, lo invecchiarono e solo nel 1973, chiarirono l’equivoco. Il primo gong da pro suona a Brockton la sera del 18 maggio 1973, a 19 anni, spedendo KO al secondo round Terry Ryan. Al quarto match incrocia i guantoni con Dornell Wigfall, anche lui imbattuto con otto vittorie, col quale ha un vecchio conto in sospeso, risalente ai tempi della scuola. Dornell, proveniva dalla Carolina del Sud, più alto, per dimostrare di essere il capo branco lo aveva schiaffeggiato e macchiato la giacca in pelle appena acquistata. Marvin non aveva reagito, ma neppure dimenticato. Sul ring si prese la rivincita con gli interessi. Avrebbe potuto metterlo KO, invece lo picchiò per sei round. Al tappeto lo avrebbe spedito due anni dopo nel 1975, sempre a Brockton.

Marvin il 20 dicembre1975 a Boston, conquista la prima cintura da pro, quella del Nord America, battendo il quotato e favorito Johnny Baldwin, mancino come lui, dopo 12 round intensi. Baldwin ai Giochi di Città del Messico 1968, aveva ottenuto il bronzo nei medi jr. battuto in semifinale dal cubano Garbey che colse l’argento, superato in finale dal russo Lagutin. Come era nel suo temperamento, partì con furia, ma la boxe fredda e precisa del rivale, annullò gli attacchi di Baldwin, che tra la sorpresa dei suoi tifosi, subì la prima sconfitta dopo 30 vittorie e un pari. Mentre per Marvin è la vittoria numero 21 e un pari. Il 1976 inizia male: a gennaio sul ring di Filadelfia, Bobby Watts gli infligge la prima sconfitta, che a giudizio del pubblico e della stampa è una rapina. Marvin e i Petronelli non la prendono bene, ma due mesi dopo vanno ancora a Filadelfia, fucina di campioni e piazza blindata per gli “stranieri”. Infatti raccolgono la seconda battuta d’arresto contro Willie Monroe, più esperto, nativo dell’Alabama ma residente a Philly, guidato da due vecchie volpi quali George Benton ed Eddie Futch, capaci di portare Ken Norton e Joe Frazier, al successo contro il mitico Ali. Marvin non commenta ma memorizza tutto. A metà febbraio 1977, accetta di mettere in gioco a Boston la cintura del Nord America proprio con Willie Monroe al quale non bastano i consigli di Benton e Futch, per evitare il kot al settimo round. Gli organizzatori di Filadelfia offrono a Marvin un bel gruzzolo (2000 dollari) per disputare la bella con Monroe definita il 23 luglio. Marvin è ancora più sbrigativo. concedendogli meno di due round. “The Ring”, la rivista fondata da Nat Fleischer nel 1941, la Bibbia della boxe, fino al 1977 ignora Hagler. Nel 1975 pone Willie Monroe e Bobby Watts sesto e settimo, davanti ad Emile Griffith, con Bennie Briscoe decimo, l’anno dopo Briscoe è terzo e Watts quarto. A sorpresa, nel 1977 mette Marvin primo sfidante di Rodrigo Valdes, giunto al titolo lasciato vacante da Carlos Monzon, il cui regno era iniziato il 7 novembre 1970 a Roma, mettendo Nino Benvenuti KO al dodicesimo round. Da quel momento è il re incontrastato dei medi fino al 1977, quando decide il ritiro. Il “killer” di Santa Fè, lascia il ring dopo 14 difese vittoriose e un record di 102 incontri, nove pari e tre sole sconfitte, cancellate nelle rivincite con Felipe Cambeiro, Alberto Massa e Antonio Aguilar. Quest’ultimo lo batté cinque volte, per cancellare quel neo. Marvin è lo sfidante ufficiale ma non ha l’organizzazione alle spalle per far valere il suo ruolo. I direttori d’orchestra del momento sono Tito Lecture, che ha guidato Monzon e gestisce il Luna Park di Buenos Aires, ma soprattutto il promoter romano Rodolfo Sabbatini che tira i fili in Europa con Mickey Duff e negli USA con Bob Arum e Don King, in pratica con tutto il mondo. Prima di diventare organizzatore ha fatto il giornalista. Dopo aver portato Monzon in Italia, ha sentito parlare di Marvin Hagler, allievo dei fratelli Pat e Goody Patronelli, pugliesi di origine. Il mancino dal cranio lucido ha battuto nettamente Bennie Briscoe il 24 agosto 1978 a Filadelfia. Anche se non è più al top, dopo oltre 15 anni di battaglie, Briscoe resta una brutta gatta da pelare e Marvin lo domina sui 10 round. In Europa è sconosciuto, ma Rodolfo sa che vale e non poco. Così lo mette in programma il 30 novembre 1979 sul ring di Montecarlo, nel sottoclou del mondiale tra l’argentino Hugo Corro e lo sfidante Vito Antuofermo. Corro è diventato campione a sorpresa il 22 aprile 1978 ai danni del colombiano Rodrigo Valdes, che aveva preso il posto di Monzon, dopo il ritiro. Avendo superato a Campione d’Italia il 5 novembre 1977, proprio Bennie Briscoe dopo 15 round feroci, mettendo ai fianchi le cinture WBC e WBA. Ripetendo il successo del 1974 a Montecarlo, per il WBC, unico ad aver messo KO Briscoe. L’attività tra Sanremo e il litorale francese ha il contributo di Alain Delon e Paul Belmondo che guadagnano montagne di soldi col cinema, investendoli nella boxe, sport che li emoziona. Nel 1978, Valdes, a sorpresa perde il titolo alla prima difesa contro Hugo Corro a Sanremo e pure la rivincita qualche mese dopo a Buenos Aires. Corro nato a Mendoza, attivo dal 1973, carriera tutta in casa, con l’eccezione di un match a Torino nel 1977, battendo il romano Mario Romersi sugli 8 round, è una cometa che si spegne il 30 giugno 1979 a Montecarlo, di fronte al pugliese Vito Antuofermo, formatosi pugilisticamente a New York, dove vive. Nella stessa riunione Hagler debutta in Europa, spedendo KO all’ottavo round Norberto Cabrera altro argentino che si allena a Genova da Rocco Agostino. Ormai è pronto per il mondiale. Che tenta il 30 novembre a Las Vegas di fronte ad Antuofermo. Ottiene un pari assai discusso, per molti un regalo di due giudici su tre. Meno di un anno dopo, la conquista iridata. L’impresa gli riesce il 27 settembre alla Wembley Arena di Londra, picchiando di brutto il mancino inglese Alain Minter, che di simpatico non aveva nulla. Sfottente e irridente, quel pugile dagli occhi di ghiaccio, era privo di qualsiasi emozione. A Bellaria il 19 luglio 1979, aveva messo KO Angelo Jacopucci, che perse la vita in seguito alle conseguenze di quella sconfitta, ma l’inglese lasciò l’Italia senza alcun commento. Ad Hagler era antipatico e me lo disse al peso. Raramente ho visto il grande mancino così cattivo. Neppure contro Hearnes e Mugabi, che furono scontri furiosi. La battaglia durò tre soli round, ma tanto bastò per rendere la faccia di Minter irriconoscibile, tanti erano i segni e le ferite che Hagler gli aveva procurato. La reazione dei tifosi inglesi fu altrettanto furiosa, con lancio di bottiglie piene di birra, costretti a riparare sotto il ring per evitare guai seri. Antuofermo, presente a bordo ring, ne ricevette una sul collo, ma ebbe la prontezza di vedere il responsabile, raggiunto al volo e planato sotto le sedie, responsabile un destro preciso al naso. Quella sera iniziava il regno di Marvin Hagler il Meraviglioso. Per sette anni, dal 1980 al 1987 è stato il re indiscusso.

Poteva andare ancora avanti? Il verdetto del 6 aprile 1987, contro Ray Sugar Leonard ha fermato la sua grande corsa, ma non certo il dubbio di milioni di persone convinte che avesse vinto. Compreso il sottoscritto. Un record di 62 vittorie, 2 pareggi e 3 sconfitte, lungo quasi 15 anni di attività dal 1973 al 1987. Restano indelebili nella memoria le vittorie sui rivali che hanno tentato invano di interrompere il suo regno. Marvin non ha rifiutato nessuno e nessuno gli ha fatto sconti. Se i vari Obelmejias, Hamsho, Lee, Sibson, Scypion e lo stesso Antuofermo rientrano tra gli sfidanti normali, le battaglie contro Roberto Duran, Thomas Hearnes e John Mugabi hanno il sapore delle imprese epiche. Solo se sei un fuoriclasse assoluto puoi domare questi campioni. A giudizio comune la sesta ripresa contro Mugabi, viene indicata come la più feroce e drammatica nella storia dei medi. Ho avuto la fortuna di averlo seguito in parecchie sue sfide sia in Europa che negli USA, un privilegio che mi ha permesso di vivere in diretta emozioni senza prezzo. Ne sono diventato amico e questo mi inorgoglisce, perché Marvin era straordinario anche e soprattutto fuori dal ring e dopo il suo ritiro. Ho assistito al suo matrimonio con la splendida Key Guarino, la sua musa per tutta la vita, di cui era innamoratissimo e viceversa. Vivevano nella zona Sud di Milano a Gratosoglio. Si recavano spesso a Brockton, dove avevano e hanno case e uffici. Come a Londra, invitati dalle più importanti emittenti inglesi. Il titolare della OPI 82, Salvatore Cherchi era l’unico capace di convincerlo a seguire qualche serata di boxe, superando la proverbiale pigrizia di vivere a casa in pantofole. Le ultime apparizioni al Principe lo scorso anno. Poi il silenzio.

Alex Cherchi, figlio di Salvatore, ricorda di essere stato a cena con lui alla Convention WBC del 2018 a Kiev in Ucraina. “Nell’occasione eravamo assieme ai coniugi Holyfield, interessati a conoscere come si preparava il risotto al nero di seppia. Mentre tutti ascoltavano, Marvin scriveva sul tovagliolo quanto cercavo di spiegare. Ad un certo punto interviene Key che commenta: Marvin è bravo a prendere nota, poi passa il tutto a me, mentre lui guarda la televisione. Adorabile campione del mondo in pantofole. Mentre Marvin sfoggiava il suo irresistibile sorriso”.

Pino Caputo, l’insegnante della Pugilistica Domino, dove è nato e cresciuto Daniele Scardina, sita in Via dei Missaglia a Sud di Milano, non lontano da Gratosoglio, dove risiedevano Marvin e Key, lo ricorda quando con l’arrivo della primavera faceva lunghe pedalate in mountain bike, lungo la riva del Ticino. “Con la moglie andava a fare spese al supermercato. Sempre disponibile sia per le foto che gli autografi, con quel sorriso luminoso che incantava. Che tristezza quando ho saputo della sua scomparsa”. Confesso di avere un grande dispiacere di non averne potuto parlare nel mio libro “Storia del pugilato” uscito nei primi anni ’80. Troppo presto per raccontarne le imprese. Di Hagler hanno scritto in molti, forse in troppi e non sempre con cognizione di causa. Anche libri, ricchi di imprecisioni. In uno di questi gli assegna l’Atleta d’oro della Diadora nel 1981, facendo confusione a non finire. D’altronde inventarsi autori senza i requisiti, ovvero aver seguito gli eventi e fatta la necessaria esperienza, ma limitandosi a leggere e copiare, spesso male, rischi scivoloni. Sul premio in questione mi sento in dovere di fare chiarezza e spiego il perché. A settembre 1981, mi chiama l’amico Pietro Gallonetto, capo ufficio stampa della Diadora, per annunciarmi che la giuria di cui facevo parte, aveva scelto quale Atleta d’oro Diadora internazionale, l’inglese Sebastian Coe, specialista sui 1500 e 5000, un vero fenomeno, ma poco popolare in Italia. Esprimo i miei dubbi e metto in allarme i fratelli Danieli, che contano molto su quell’appuntamento, dove invitano la stampa al Teatro Duse di Asolo, preventivando un ritorno di stampa su tutti i quotidiani e settimanali. Fui delegato a trovare un nome di assoluto richiamo, quale ospite d’onore. Ne parlo con Rodolfo Sabbatini, suggerendo i nomi di Sugar Ray Leonard e Marvin Hagler, la star dei medi, che aveva combattuto a Montecarlo nel 1979, ma non era mai stato in Italia. Rodolfo scarta Leonard, impegnato a fare le telecronache con la HBO e parla con i fratelli Petronelli, i manager di Hagler accolgono l’invito con grande entusiasmo, esprimendo il desiderio di poter visitare la terra dei genitori, nativi di Casavecchio nel foggiano, come infatti avvenne. Il terzetto giunge a Roma qualche giorno prima del premio. In tempo per visitare la capitale e arrivare ad Assolo in auto, guidata personalmente da Renzo Spagnoli, che Sabbatini aveva delegato quale accompagnatore ufficiale. La sera delle premiazioni il successo supera ogni attesa e il grande protagonista è Marvin Hagler che si dimostra intrattenitore brillante, ironico e documentato anche su argomenti non legati strettamente al pugilato. Ad un certo punto uno dei fratelli Danieli si avvicina e mi chiede di far presente ai colleghi che il premiato è Coe. Ignorato totalmente. Questi i fatti reali. Nel libro si legge che nel 1981 vennero premiati Edwin Moses, Bernard Hinault, Sebastian Coe e Marvin Hagler, inglobando quattro edizioni in una. Ignorando che i premi avevano una precisa collocazione. Atleta Internazionale, atleta italiano, speranza, dirigente sportivo, tecnico sportivo, segnalazione speciale e in alcune occasioni riconoscimento straordinario. Nel 1980 oltre a Hinault, venne premiato Patrizio Oliva e Pietro Mennea. Hagler lo venne a ritirare solo quattro anni dopo. In quell’occasione conobbe Key Guarino, insegnante di educazione operativa a Milano, anche se nata a Napoli. Fra i due scoppia l’amore e nel maggio del 2000, i due si sposano civilmente a Pioltello nel milanese, prendendo casa e residenza a Gratosoglio alla periferia di Milano sud. Bastava documentarsi a dovere, evitando l’ennesima imprecisione di cui il libro è ricco. Concludo con la mia personale classifica assoluta dei pesi medi. Al primo posto l’immenso Ray Robinson, che possedeva un talento infinito, re dei welter e dei medi, tecnicamente nessuno è stato alla sua altezza. Boxe di rara eleganza, un fisico da ballerino e una classe infinita. Dal 1946 alla fine degli anni ’50 dettò legge. Alle sue spalle metto Marvin Hagler, campione indistruttibile, un fisico scolpito nell’acciaio, il più elegante e completo mancino della storia. Ha incontrato e battuto il meglio degli anni ’80. Da Briscoe ad Antuofermo, quindi Minter, Duran, Hearns e Mugabi, spauracchi che lui ha distrutto. La sconfitta con Leonard è sospesa nel limbo di un verdetto rivestito da interrogativi che non hanno mai trovato risposte certe. So che non tutti saranno d’accordo, ritenendo Carlos Monzon superiore. Ho avuto la fortuna di vederli da bordo ring tutti e due e proprio questa opportunità mi ha fatto scegliere Hagler. Tecnicamente il repertorio dell’americano era decisamente più completo e anche le doti da incassatore risultavano migliori. Monzon faceva più male, in particolare col destro, ed era un mediomassimo naturale, che combatteva nei medi. Boxe monocorde ma indubbiamente efficace. Cattivo sul ring e anche fuori. Guardando gli sfidanti appare evidente che quelli dell’argentino siano stati di livello inferiore. Sabbatini e Lecture sapendo di avere nel pollaio la gallina dalle uova d’oro, con molto giudizio la gestirono nel modo più accorto per farla durare a lungo. Non solo, al contrario di Hagler che ha trionfato su tutti, Monzon in diverse occasioni ha rischiato la sconfitta. In particolare con Briscoe, col quale pareggiò nel 1967 sui 10 round e lo superò con grande affanno nel 1972 sempre a Buenos Aires. Stesso discorso con Griffith e Valdes, le cui vittorie ebbero momenti di alto rischio. Definire avversarsi di prestigio i vari Moyer, Bouttier, Bogs, Napoles che non era certo un medio, Mundine, Licata e Tonna appare esercizio difficile da confermare. Per queste ragioni ritengo che Hagler sia stato superiore, pure convinto che in un confronto diretto la maggiore completezza tecnica e solidità atletica del mancino americano alla fine avrebbe avuto la meglio, come era accaduto con Mugabi. A seguire vedo Jackie La Motta per la continuità di vertice, Marcel Cerdan altro guerriero di classe, Bernard Hopkins assai sottovalutato e infine Nino Benvenuti che ha saputo conquistare il mondiale negli USA, impresa riuscita a pochi e a mantenersi al vertice in un periodo non facile, ricco di grandi campioni.

Giuliano Orlando