Le mie verità sul doping

Pubblicato il 26 novembre 2022 alle 19:11
Categoria: Libri di Sport
Autore: Redazione Datasport.it

 Le mie verità sul doping.  Francesco Conconi si racconta a Paolo Viberti

Chi è lo studioso che ha rivoluzionato il metodo di preparazione degli atleti? 

 Paolo Viberti - Pag. 255. Euro 20.00 - Bradipolibri editore

di Giuliano Orlando

Il via con l’interessante prefazione di Francesco Moser, che tesse le lodi del professor Conconi, col quale preparò a livello medico, seguendone i metodi scientifici per la realizzazione del record dell’ora (con bici speciale) sulla pista a Città del Messico nel gennaio del 1984, a seguire la lunga e dotta introduzione dell’autore. Pur non conoscendolo personalmente, ho recensito diversi suoi lavori e lo reputo preparatissimo sugli argomenti cui si cimenta. Il resto del libro, scandaglia tutto ciò che si può conoscere dello scienziato comasco, osannato e criticato in ugual misura. Oltre duecento pagine di un interrogatorio infinito, che entra nelle pieghe più riposte di un personaggio dalle mille sfaccettature. Una risonanza a volte perfino imbarazzante, cruda e diretta, per capire fino a che punto, certe scelte sono un viaggio alla ricerca della migliore prestazione, restando sul greto del precipizio, senza scivolare sotto, oppure il contrario. Le domande percorrono mezzo secolo di attività e di ricerca, trattano i campioni più famosi e anche discussi. C’è un passaggio, che fa riflettere e non poco. Quando si riferisce a Lance Armstrong, ammette essere stato quello che più lo ha deluso. Ne spiega i tanti motivi, in particolare la consapevolezza che dopandosi avrebbe vinto in modo doloso, oltre all’aspetto truffaldino della sua donazione all’UCI, servita non tanto ad aiutare chi ne aveva bisogno, ma a tacitare chi doveva a andare a fondo sulla sua vicenda. Non solo, la Fondazione da lui fondata, dopo aver vinto la battaglia contro il tumore ai testicoli, l’aveva trasformata in una fonte di guadagno. In ultimo, abilissimo nel trarre vantaggio finanziario pure quando confessò la colpevolezza, facendolo in un talk show ad altissimo indice di ascolti. Detto questo, il professore ha la convinzione che Armstrong fosse un fuoriclasse e il doping lo ha solo migliorato, ingigantendo una superiorità naturale. Per meglio chiarire conclude così: “Il doping non è in grado di trasformare un atleta modesto in un fuoriclasse”.                                                                                              Un dettaglio, lungo le tante pagine di una storia personale, che ha cambiato il rapporto tra atleta e i metodi di allenamento esasperato. Prima di questo percorso, Paolo Viberti disserta nella dettagliata introduzione, molto significativa, illustrando le origini del doping. Che ha fatto la barba bianca. Sport e doping, sono compagni di viaggio da millenni, con una spiegazione molto indovinata: “Fin dall’antichità si è cercato di spacciare il verosimile per vero”. Che poi la metodologia abbia messo gli stivali di Gulliver è altrettanto indubitabile, Dalla caffeina all’etere, dalla canfora alla stricnina. A farne le spese per primi nell’epoca moderna, anche e soprattutto i cavalli in Inghilterra, parliamo del 1836 e, mezzo secolo dopo fu la volta dei ciclisti, in particolare i seigiornisti, che per reggere la fatica, ingoiavano intrugoli pazzeschi.  La prima vittima ufficiale risulta il gallese Arthur Linton; che vinse nel 1896 la Bordeaux-Parigi, una passeggiata di 592 km. su strade che non conoscevano l’asfalto ma solo l’acciottolato. Linton morì dopo solo due settimane dall’impresa a 24 anni, per una crisi cardiaca irreversibile. Il suo allenatore confessò che durante la corsa gli somministrò una pozione di eccitanti che avrebbero stroncato un toro. Linton era solo un uomo. Ricorda il dramma del maratoneta italiano Dorando Pietri ai Giochi di Londra del 1908. Racconta la clamorosa dichiarazione di Henry Pellisier, il campione del ciclismo francese, che nel Tour 1924, dovette lasciare il passo all’italiano Ottavio Bottecchia, ingaggiato per aiutare il capitano. Nell’occasione Pellissier scoperchiò il vaso di Pandora, denunciando come erano trattati i corridori, costretti ad aiutarsi chimicamente per reggere la fatica di un Tour e di altre corse, diversamente nessuno avrebbe finito le gare. Lo scandalo ebbe clamore enorme, ma il doping non cessò. Negli anni divenne sempre più sofisticato, addirittura una pratica a livello statale, l’epicentro nelle nazioni dell’Est Europa, con la DDR che fu la maestra, facendone uso e abuso come dimostrazione di superiorità del sistema politico. La gente iniziò a conoscere nomi nuovi: steroidi anabolizzanti, ormone della crescita, stanozolo, testosterone e altro. Negli anni ’80 si passa all’autoemotrasfusione e all’epo. Vi invito a leggere queste pagine, che fanno capire quanto lo sport sia un veicolo tanto importante fino a farlo diventare messaggero di morte. Dopo questa introduzione, le domande e le risposte tra autore e scienziato avranno un altro significato. Quale? Sta al lettore trarne le conclusioni.                                                                                                                                                    Giuliano Orlando