Intervista a tutto campo a Flavio d’Ambrosi presidente della FPI, a Milano.

Pubblicato il 28 febbraio 2024 alle 19:02
Categoria: Boxe
Autore: Wilma Gagliardi

Intervista a  tutto campo a Flavio d’Ambrosi  presidente della FPI,  a Milano. 

di Giuliano Orlando

In occasione della presentazione a Busto Arsizio, del torneo di qualificazione ai Giochi di Parigi, riservato agli atleti della boxe di tutto il mondo, che non hanno ottenuto il pass per le Olimpiadi, nelle selezioni continentali, ospitato nell’impianto E-work Arena, dal 3 all’11 marzo, ho avuto l’opportunità di parlare col presidente della FPI, il dottor Flavio D’Ambrosi, ponendogli domande a tutto  campo inerenti la nostra disciplina.  Lo ringrazio per aver risposto ampiamente a tutte, anche le più delicate e non facili.                                                                                                                                                                              

La FPI, quindi il suo presidente, ha dato mandato a Massimo Bugada, l’omologo della Lombardia, di allestire la grande rassegna mondiale della boxe con l’appuntamento a Busto Arsizio dove si assegnano 49 pass per Parigi (28 maschili e 21 femminili). Mai l’Italia aveva ospitato un evento di tale portata: 780 iscritti per 114 nazioni. Neppure ai mondiali di Milano nel 2009. Uno sforzo federale senza precedenti. Quali ricadute positive ritiene possano giungere al nostro movimento dopo questa rassegna?

“Il riscontro della partecipazione di atleti e nazioni al World Qualifyng Tournament, superiore alle previsioni, mi conferma che la fiducia riposta nel presidente della Lombardia e amico, Massimo Bugada, con l’apporto notevole della consigliera federale Carlotta Rigatti Luchini, sia stata una scelta giustissima. Ospitare un torneo di tale portata è prestigioso per l’Italia oltre che un segno di fiducia da parte dei vertici mondiali a cominciare dal CIO. Questo permetterà ai nostri atleti di competere in condizioni ideali, col supporto del pubblico, uno stimolo in più non indifferente. Sicuramente una ricaduta positiva a livello di immagine per l’intero movimento nazionale che dovrebbe tradursi in un consistente aumento di frequenza delle palestre”.                                                    

L’Italia ha già ottenuto quattro pass per i Giochi di Parigi, due maschili e altrettanti femminili. A Busto Arsizio saranno presenti quattro azzurre e cinque maschi. Da presidente e da appassionato sportivo, quale bilancio la soddisferebbe, in aggiunta a quanto già raggiunto?                                                                       

“Consideriamo che quattro ticket rappresentano un ottimo risultato, dopo il torneo di Cracovia in Polonia. Intanto l’Italia ha già due maschi a Parigi, mentre a Tokyo eravamo tristemente assenti. Si può sicuramente migliorare, pur con una concorrenza decisamente impressionante, convinto che i nostri azzurri sapranno superarsi, davanti al pubblico di casa. Tra il torneo di Busto Arsizio e quello di Bangkok in Thailandia a maggio, penso che arrivino dai tre ai quattro nuovi pass”.                                                                                                                          

Dopo gli scandali dei giudici e arbitri ai Giochi di Rio 2016, il CIO ha di fatto sospeso tutti i partecipanti e a distanza di otto anni, ancora non ha deliberato sul destino di coloro che hanno arbitrato e giudicato in perfetta buona fede, compreso il nostro Licini. Cosa ne pensa? In caso di riammissione, siete in grado di soddisfare l’eventuale chiamata di un rappresentante italiano?

“Penso che comunque i processi di giustizia ordinaria e ancor più quelli sportivi debbano avere un inizio e una fine, possibilmente rapida. Anche per il rispetto dei soggetti coinvolti. Ammetto e constato che il ritardo sia abbastanza consistente. Il CIO mesi addietro ci ha chiesto una lista di arbitri e giudici disponibile per andare ai Giochi. Abbiamo risposto affermativamente e, come federazione, auspichiamo ci sia una presenza italiana a Parigi. Per cui siamo pronti”.  

Dal 2016 porte aperte ai pugili professionisti alle Olimpiadi. Una scelta variamente commentata. In verità l’apertura permette al professionista di giocare su due tavoli, quello delle sigle e pure alla grande opportunità quadriennale, che dovrebbe premiare i dilettanti. Emblematico il caso del supermassimo uzbeko Jalolov, 29 anni, professionista dal 2018, residente negli USA, dove si allena, con 14 incontri tutti vinti per KO. Bronzo a Rio 2016, oro a Tokyo 2021, favorito a Parigi; due volte iridato (2019-2023), con un record da dilettante che dal 2013 a 2017 di 103 vittorie e 15 sconfitte. Non sarebbe il caso di porre un limite a questi super professionisti che di fatto vietano ai veri dilettanti di poter coronare il sogno olimpico? Tipo: dopo 10 match da pro, stop ai Giochi?

“Io ho sempre considerato il pugilato dilettantistico e professionistico come le facce della stessa medaglia, anche se vivono due situazioni diverse, questo è doveroso dirlo. La decisione presa dal CIO in passato di aprire le porta ai pro, ha fatto capire all’Italia in guantoni una cosa che da vent’anni si era persa: dilettantismo e professionismo non possono essere due entità totalmente separate. Tutta la fase propedeutica del dilettantismo deve condurre al professionismo e, una volta imboccata la nuova strada che ha portato l’atleta ad una significativa carriera, mi sembra alquanto contradditorio tornare indietro. Comportando la loro presenza ai Giochi, l’impegno di tornei e qualificazioni poco confacenti al professionista affermato. Infatti i grandi campioni che si trovano ai vertici delle classifiche internazionali non pensano alle olimpiadi. Questa osmosi, almeno nella parte iniziali della carriera pro, non la trovo del tutto insensata e ingiusta. Ripeto, non per i professionisti di altissimo livello che hanno imboccato una strada che se non incompatibile per i Giochi, rendono comunque inopportuna la loro partecipazione”.

Con la sua presidenza, il professionismo sta ricevendo aiuti, mancati in precedenza e tenta un ricambio e una rinascita difficile, per ovvie ragioni a cominciare dalla ancora scarsa visibilità televisiva e al parco atleti di vertice assai limitato. Dopo Parigi, i nostri migliori dilettanti da Aziz Mouhiidine a Irma Testa e gli altri azzurri, a suo giudizio, dovrebbero tentare la strada del professionismo, fermo restando l’opportunità di prendere parte alle Olimpiadi?   

“Da quando ho iniziato ad entrare nel consiglio federale, prima da consigliere, poi da vice presidente vicario e infine da presidente, ho sempre pensato che la nobile arte avesse nel professionismo la vetrina autentica e quindi la federazione doveva spingere su due binari. Sul primo la ricerca del talento, quindi far crescere i giovani e sfruttare al meglio le loro doti, consolidatesi in nazionale, arrivando al meglio, magari con una olimpiade andata bene lo sbocco successivo non poteva che essere il professionismo. L’ho sempre pensato e l’ho sempre creduto oltre ad avere avuto la maniera di verificare nei decenni passati quando i nostri ragazzi più forti non passavano al professionismo, creavano dei danni. Il primo era che impedivano ai nostri giovani di crescere, vietando loro di prendere parte ai Giochi successivi quindi la stasi di un quadriennio. L’altro danno era che non pensavano a cimentarsi col pugilato pro e a creare quel naturale ricambio nel circuito pro, come accadeva negli anni ’80 e avere altri campioni nel segno della continuità. Sono straconvinto che i nostri pugili del club azzurro dopo le Olimpiadi, debbano passare al professionismo cimentandosi nella nuova realtà, portando ulteriore linfa nel settore, dando nel contempo una grande opportunità ai nostri giovani che cerchiamo di far crescere, in modo di poterli sostituire con altrettanto successo”.

L’ingresso della boxe nelle scuole, un tentativo provato da lungo tempo, senza grande successo. A Busto Arsizio, vi siete impegnati non poco. Addirittura dovrebbero essere oltre 2000 gli studenti presenti a questa manifestazione, col supporto di tecnici e insegnanti. Quale traguardo vi prefiggete?

“Faceva parte degli obiettivi che mi ero posto, ovvero quello di dare un’immagine che poi è quella vera, che passa attraverso il pugilato come strumento di integrazione. Per far questo dovevamo cancellare i vecchi stereotipi che purtroppo ogni tanto emergono. La prima tappa obbligata consisteva nel cercare di far avvicinare i giovani, attraverso le scuole, perché così ottenevamo un forte effetto positivo. Spiegando che il pugilato è un’attività sana, che da valori e principi, il coraggio e la determinazione, il rispetto delle regole oltre che dell’avversario. A questo si univa l’altro effetto che era quello di ricreare proprio quel ricambio a livello giovanile, dando loro l’opportunità di praticare una disciplina terapeutica e formativa oltre che dare ai tecnici la possibilità di scovare l’auspicato talento”.

Il CIO ha fatto sapere in via ufficiale che il pugilato a Los Angeles 2028 sarà presente, smentendo le voci di certa stampa o pseudo tale, che affermava il contrario. Resta il non facile problema di sostituire l’IBA a livello normativo. Essendo di fatto già avvenuto il distacco tra l’ente responsabile al momento di tutto il movimento organizzativo (esclusa quella inerente i Giochi) e diverse nazioni, tra le quali USA, Gran Bretagna, Irlanda, Canada, Argentina, Svezia, Olanda e altre. L’Italia, fino ad oggi ha saputo abilmente restare in posizione neutrale, aspettando gli eventi. Ma, dopo Parigi, cosa potrà avvenire? Il suo pensiero?

“Come ho già detto anche in passato ritengo che una federazione come la nostra debba rispettare le disposizioni del CONI. Il comitato olimpico ci deve guidare soprattutto in questo momento e non le nascondo le difficoltà di essere affiliati ad una federazione che non è riconosciuta dal CIO. Comunque l’Italia seguendo le direttive del CONI, ha saputo porsi in una posizione in grado di farci assegnare dal CIO l’organizzazione del torneo di qualificazione olimpica e nel contempo facendo parte dell’IBA, possiamo partecipare ai vari campionati di categoria, permettendo ai nostri giovani che in tal modo fanno utile esperienza. In futuro seguiremo le indicazioni tracciate dal CONI. Lo faremo perché il pugilato non può rinunciare alle Olimpiadi   e anche perché credo fortemente che a Los Angeles 2028 ci sarà ancora il pugilato”.

Il CIO ha cancellato l’IBA in modo definitivo, a sua volta sostenuta finanziariamente da uno sponsor come Gazprom, azienda al cui interno figura anche il presidente della Russia. E’ chiaro che il CONI non potrà certo essere dalla parte dell’IBA. Come interpreta questa situazione?

“Quando vado a parlare ai comitati regionali, indico tra le maggiori difficoltà che potremmo incontrare nel prossimo quadriennio, sia la situazione internazionale, assolutamente disordinata. Sono cognito che nel prossimo quadriennio non sarà facile gestire come Italia e come Federazione pugilistica, una situazione tanto ingarbugliata. Personalmente conto molto sulla saggezza del CONI, che finora ha permesso ai nostri ragazzi la possibilità di fargli guadagnare indispensabile esperienza. Un ipotetico distacco immediato dall’IBA avrebbe causato la perdita di un bagaglio esponenziale, non avendo potuto partecipare alle rassegne europee di categoria. Ciò avrebbe inciso su un’intera generazione di pugili. Questo non è accaduto perché l’Italia, pur nel rispetto delle disposizioni del CIO ha saputo mantenere una posizione di neutralità. Certo se dovesse continuare questa situazione di conflittualità l’Italia dovrà forzatamente decidere secondo i dettami della carta olimpica e l’indicazione del CONI. Non è pensabile che il pugilato sia fuori dai Giochi Olimpici e ancora meno pensabile che quello italiano subisca la stessa sorte. Visto che il nostro statuto lo indica espressamente come riferimento assoluto”.

Tra gli anni ’70 e ‘90, esisteva una associazione giornalistica chiamata ANISP, che premiava organizzatori, tecnici, atleti e la stampa di settore. Dopo è calato il silenzio, salvo qualche ricorrenza come il centenario della boxe italiana. La chiusura di Boxe Ring ha ulteriormente ridotto i canali informativi per mantenere viva la memoria storica. Non ha mai pensato ad una iniziativa federale per premiare annualmente e quindi stimolare il movimento italiano della noble art? 

“Abbiamo parlato di ricerca del talento di alto livello, del pugilato come strumento di inclusione e integrazione. La terza gamba che rientra nelle politiche sportive, riguarda la comunicazione. Se le cose si fanno e non si comunicano, vuol dire che il più delle volte non si sono fatte. La comunicazione per noi è essenziale e non solo per il pugilato, ma per ogni settore della vita e per lo sport in generale. Sono conscio che un’iniziativa se non identica ma similare come fu quella dell’ANISP debba nascere. Il pugilato ha l’estrema necessità che i giornalisti lo raccontino, lo portino in narrazione, ne illustrino le gesta e la tradizione anche ai giovani per far capire quanto la noble-art sia veramente nobile. Dobbiamo porre in essere iniziative che in qualche maniera riportino i giornali e i giornalisti che sappiano parlare di pugilato. Si parla spesso di calcio e altri sport, ma veri esperti di pugilato in grado di scrivere o parlare dell’argomento con passione e diligenza in realtà non ce ne sono molti. Per farlo devi conoscere in maniera approfondita e allora credo sia necessario che la Federazione metta in cantiere iniziativa del genere in grado di riportare la stampa e quindi i giornalisti a interessarsi del nostro sport. Per farlo occorre un progetto serio e non fumoso. Evitando che si spenga dopo poche fiammate”.

Giuliano Orlando