Due montanari Arturo e Oreste Squinobal dalle Alpi all’Himalaya: la recensione di DataSport

Pubblicato il 31 luglio 2019 alle 13:12:59
Categoria: Libri di Sport
Autore: Redazione Datasport

Quando la montagna non ha età: la ristampa dopo 35 anni non cambia nulla.

Maria Teresa Cometto – Due montanari Arturo e Oreste Squinobal dalle Alpi all’Himalaya 

Pag. 242 – Euro 19.90.

Può un libro scritto 35 anni addietro, ripresentarsi ai lettori e mantenere lo stesso fascino? Risposta affermativa. Precisiamo che si tratta di una storia semplice come quelle di montagna, semplice non vuol dire facile. Chi abita dove si rispecchia la bellezza ma anche la solitudine delle cime, vive in una dimensione tutta particolare. La famiglia Squinobal è di etnia Walser, enclave krukka nella francofona Val d’Aosta. I contatti esterni sono praticamente impraticabili, sia per la lingua che per il sistema di vita, dove tutto è ridotto all’essenziale, ovvero a una dignitosa povertà. La storia scritta da mano femminile vuole semplicemente far capire al lettore una realtà che ancora sopravvive, sia pure sfumata e più abbiente, ma non meno attuale.

I fratelli Arturo e Oreste, falegnami per tradizione di famiglia e guide alpine per la stessa ragione, ora residenti a Gressoney, ma al tempo dell’infanzia abitanti nell’isolata Loomatten, in un casa piccola dove convivevano papà e mamma con nove pargoli in serenità e isolamento, che scoprono al momento della scuola. “Un vero trauma -ricordano i due fratelli – parlavamo solo il dialetto titsch, alcuni restavano giorni e giorni muti, incapaci di capire quel mondo che distava pochi chilometri ed era lontanissimo. Per nostra fortuna il maestro conosceva il nostro dialetto e anche quando imparammo l’italiano ad alcuni doveva spiegare le lezioni in titsch. Non parliamo di quando dovemmo andare a Gressoney, alle tre classi di avviamento. Non avevamo amici, non potevamo giocare, sempre esclusi perché troppo scarsi. D’altronde la nostra infanzia non era andata oltre l’alpeggio della Cialvrina dove avevamo una baita, e dove i ricordi si fermano alla compagnia di mucche e capre e un appetito mai saziato”. L’amicizia con i fratelli Alberto e Riccardo, che venivano da turisti con i genitori, fu la svolta, la pietra miliare del cambiamento. Con loro ricucirono il gap, anche se restarono semplici e limpidi come i ruscelli della loro vallata. Legati dalla comune passione per la montagna, fecero un percorso in parallelo, passo dopo passo, dalle vette davanti a casa, dalla Testa Grigia, una cima tra la Val d’Ayas e la Valle di Gressoney, che toccava i 3315 metri, poi al Corno Bianco e le prime trasferte fuori confine, in Grecia e Turchia, con lo spirito d’avventura dei giovani: pochi soldi e molto entusiasmo. Ci credereste, non tutti i compaesani la presero bene. Non approvavano che varcassero i limiti di un confine di lingua e cultura. Senza capire che quando arrivarono in Nepal e scalarono le più alte vette del mondo, scoprirono che quel mondo somigliava e non poco al loro. Che gli sherpa locali, erano gli epigoni dei montanari della Valdobbia e di Loomatten. Campioni di umiltà e fatica, le stesse casupole e le stesse cadenze. Guide per necessità, pronte al sacrificio. Attorno a queste similitudini e nel contempo alla maturità, Arturo e Oreste, sono rimasti loro stessi, mantenendo la giusta distanza tra popolarità e vita privata. La ricchezza di questo libro e la freschezza che emana è senza tempo e tale resta a distanza di 35 anni dalla sua prima uscita. Semmai ha addolcito il gusto come un vino di alta qualità.

Giuliano Orlando