Boxe, Cammarelle: "Voglio chiudere in bellezza"

Pubblicato il 3 febbraio 2016 alle 10:26:44
Categoria: Boxe
Autore: Redazione Datasport.it

Sul ring del Baluan Sholak Sport Palace di Almaty, la capitale del Kazakistan, il 25 ottobre 2013, Roberto Cammarelle, 33 anni e molti problemi fisici sulle possenti spalle, affronta in semifinale Magomedrasul Medzhidov, 27 anni, russo passato sotto i colori dell’Azerbajan, mondiale uscente e favorito del torneo iridato. I due si sono affrontati ai Giochi di Londra 2012, sempre in semifinale e dopo un match aspro, a tratti cattivo, con scambi pesanti, l’azzurro la spunta più chiaramente del 13-12 dei giudici. Ci avrebbero pensato altri giudici due giorni dopo a beffarlo in finale contro l’inglese Joshua, con uno dei verdetti più scandalosi della storia olimpica. Ad Almaty, dopo un avvio disastroso, contato e in netta difficoltà, con pazienza e intelligenza tattica, Roberto rimonta un match impossibile, tanto da rendere discutibile la sconfitta giunta con un solo giudice a favore dell’azero, gli altri due hanno il pari e gli applausi del pubblico sono tutti per il guerriero non più verde ma mai domo.

Da quel pomeriggio Roberto non è più salito sul ring, fermando il suo fantastico cammino a quota 223 match, 197 vittorie e 26 sconfitte, delle quali diverse fanno a pugni con la realtà del ring. Nessun dilettante italiano ha conquistato  tanti allori come il ragazzo nato a Cinisello Balsamo nel milanese, genitori lucani, scoperto dal maestro Biagio Pierri della “Rocky Marciano”, un nome e una premonizione. Il battesimo di Cammarelle a Varese il 9 aprile 1995, a neppure 15 anni, battendo il locale Toni Bozza, per gli interregionali Primi Pugni dei massimi. Quel giorno inizia una carriera, che supera la boa dei vent’anni, considerato il prossimo impegno fissato il 6 febbraio a Spoleto, contro l’estone Andrei Bokan.

Perché questo ritorno?
“Le ragioni sono diverse. La prima è che non intendo chiudere la carriera con una sconfitta, quindi la voglia di tornare a combattere non è mai stata accantonata. Hanno scritto che lo faccio per andare a Rio. Non è vero. Da persona realistica, so benissimo che la strada per i Giochi andava imboccata molto tempo prima. Ho 35 anni, il fisico è ancora buono ma sarebbe sciocco affermare che è quello dei Giochi di Pechino e di Londra. Ho messo chili in più e scendere non è facile.

Ti alleni da oltre un mese con la nazionale e lavori come e forse più degli altri. Solo per chiudere in bellezza?
“Non è secondaria questa logica. Intanto tengo sotto pressione Guido Vianello che ci deve provare alla qualificazione e avere uno stimolo come il sottoscritto è sicuramente utile. Ho parlato con Lello Bergamasco e con il preparatore Vasily Filimonov, il tecnico russo operativo con la nazionale ai  Giochi di Pechino. Mi sono messo a disposizione della squadra, cercando di tornare ad una condizione atletica per salire sul ring in modo dignitoso. Lavoro con entusiasmo e con fatica, sudo e mi stanco, ma faccio ogni giorno dieci riprese che Vasily fa durare anche 4 minuti a round. I primi risultati stanno arrivando, anche se capisco che il colpo d’occhio deve migliorare e la ruggine della lontananza dal ring si sente. Molto utile è stato fare i guanti con Robert Helenius, il finlandese campione d’Europa massimi,  imbattuto nei 22 incontri disputati, compreso un successo sull’inglese Chisora, giunto con la squadra ospite e messosi a disposizione per gli allenamenti. Sabato mi presento a 119 kg. che dovranno scendere a 114-115 a marzo nel secondo incontro a Roma in occasione della presentazione del libro che racconta la storia dei 100 anni della federazione. Nell’occasione avrò un russo, quindi dovrò essere in condizione buona, per evitare sorprese”.

Che sensazione hai avuto dopo oltre due anni di assenza dalla palestra?
“Sicuramente positiva, mentalmente  sono sempre rimasto pugile. Una scelta che ha avuto inizio nel 1995, quando non avevo ancora 15 anni. Nessuno mi aveva obbligato, giocavo al calcio e promettevo bene, ma quando entrai per la prima volta in palestra a Cinisello, per accompagnare mio fratello Antonio, capii che quello ero lo sport che intendevo praticare. Il confronto diretto con uno che ha le tue stesse opportunità è la vera essenza della vita. Alla boxe ho dato moltissimo e ho anche avuto tanto, anche se non sempre  i giudici sono stati equi nei miei confronti, Ma questo ti aiuta ad essere più forte. Delle cinque sconfitte col russo Povetkin almeno due sono stati regali alla nazione che contava di più. La finale di Londra è stata una ferita profonda, bruciante e ingiusta, che ha visto tutto il mondo. L’ho accettata col dolore nel cuore, ma non mi sono arreso, anche se gli anni e i problemi fisici mi hanno condizionato pesantemente. Problemi che restano, ma che contrasto con la volontà. I ragazzi che mi circondano, aspettano che gli dia un consiglio, un incoraggiamento. Ed io di questo sono orgoglioso. In particolare con Vianello che ha qualità ma poca esperienza. A volte lo sgrido per certi atteggiamenti passivi sul ring. Lo sprono a tirare fuori la personalità e la grinta, la voglia di mostrare che il padrone del ring è lui. Da ragazzo intelligente ci prova e gli auguro possa arrivare alla qualificazione per Rio. Non sarà facile, ma deve tentare con la massima convinzione”.

Quanti altri azzurri oltre a Russo e Manfredonia, potranno farcela?
“Niente nomi, visto che sono un pugile e non un tecnico. Ma spero che altri  tre o quattro riescano nell’impresa. Finora l’Italia non ha avuto favori da nessuno, semmai il contrario, speriamo che hai prossimi esami la ruota della fortuna giri per noi”.

Faccio io i nomi: Mangiacapre (64), Valentino (56), Cavallaro (75), Picardi (52) e Cappai (49). D’accordo?
“Il silenzio potrebbe essere assenso”.

Se nell’ultimo torneo a disposizione per le qualificazioni, fissato a giugno a Baku (Azerbajan), ti venisse proposta la partecipazione, cosa risponderesti?
“Sono a disposizione della squadra, ma siamo nel mondo della fantasia e i pugni sono una realtà diversa”.

Ufficialmente il match di Roma, dovrebbe chiudere il tuo racconto agonistico, ma corre voce che a Milano, dove sei nato come pugile, avrebbero piacere di allestire un match. Cosa ne dici?
“Vivo ad Assisi, a Roma ho trascorso gli anni della mia attività, a Milano sono diventato pugile. Sarebbe una bella idea”.