Strade nere. Da Bottecchia a Mandela, da Coppi a Girmay

Pubblicato il 3 novembre 2025 alle 15:11
Categoria: Libri di Sport
Autore: Wilma Gagliardi

 Strade nere.

Da Bottecchia a Mandela, da Coppi a Girmay

Un continente dove il presente è passato e futuro. Dove il ciclismo è avventura ed eroismo. Dove i protagonisti sembrano usciti dall’irrealtà di una terra incredibile – Marco Pastonesi – Strade nere. Da Bottecchia a Mandela, da Coppi a Girmay. Cento storie di ciclismo africano Ediciclo editore - Pag. 160 – Euro 16.00.

di Giuliano Orlando

Cento storie a pedali nel Continente Nero, dove la bici è spesso di legno, le strade sono di terra rossa che diventa fango quando le piogge torrenziali le tramutano in fiumi limacciosi. L’autore è un giornalista curioso e meticoloso, uno dei pochi colleghi che hanno messo piede e occhi dove la bici vera è un lusso per pochi, la passione per questo sport è puro eroismo. Ogni capitolo ha uno o più protagonisti. Eroi di un giorno, tutti o quasi senza gloria sportiva. Dal Tour di Faso del 2006, dove l’arrivo della nona tappa fu un festival del fango, che aveva vestito tutti i corridori, quello che fece notizia risulta Désiré Kabora, giunto 72°. Appena tagliato il traguardo si accorge che i freni avevano terminato la loro funzione. Urla al pubblico di farsi da parte. L’impatto contro una macchina fu tosto e fortunato. Si trattava dell’ambulanza che lo portò subito all’ospedale per le cure del caso. Alla conferenza stampa, nel locale costruito con l’argilla, Pastonesi chiese se ci fosse qualcosa di peggio. Risposta corale: questa è tra le migliori, il top spetta al Tour of Rwanda, dove si conosce dove parte la tappa, resta incerta la sede dell’arrivo. Capitava che a causa di guerre, dogane, varie ed eventuali, nell’ultima tappa di un’edizione passata, i corridori arrivati alla conclusione del Tour, fosse in numero superiore ai partenti della prima tappa. C’è anche un ricordo sul grande collega Rino Negri, voce storica alla Gazzetta dello Sport, la rosea che per decenni è stata la fonte primaria per chi voleva sapere tutto sulle varie discipline. Neppure lontana parente di quella odierna, megafono del calcio e di qualche altro sport se arrivano gli sponsor. Negri, dall’alto dei 42 Giri d’Italia e 39 Tour seguiti, qualcosa come 27.000 articoli, dettava legge e seguiva tutto ciò che aveva legame con le pedalate. Bartali lo considerava coppiano, a ragione, anche se lui negava. Nel 1951 era inviato al Tour, con Fausto Coppi presente ma in forma precaria. Quel Tour vinto da Koblet, quarto Bartali e decimo Coppi, con una vittoria di tappa a Briancon, scalando il Vars e l’Izoard, anche se quel successo non lo rese felice. Ultimo Zaaf, che Negri aveva descritto come “un negretto tracagnotto, con le braccia e le spalle di un sollevatore di pesi”. Specificando: “ogni suo colpo di pedale, sembrava una martellata”. In una tappa Zaff se ne andò come sparato da un cannone e Fausto, preso in contropiede perse oltre mezz’ora. E il Tour. Per colpa del negretto. Cento storie sono un romanzo d’avventure infinito. Che l’autore ha racchiuso in 160 pagine, condensate e piene come un tiramisù, tutto crema e calorie. Ci sono africani sconosciuti, come Ahmed Remadni e Abdelkader Abbes che compiono imprese incredibili, ma anche nomi che hanno fatto la storia del ciclismo e hanno assaggiato pedalando l’aroma dell’Africa. Da Coppi a Bobet, Anquetil e Geminiani, Bartali e Coppini. Dagli anni ’30 ai giorni nostri. Dal Tour 1936, quando fecero una colletta per l’algerino Abdelkader Abbes, iscritto come isolato, per poter partecipare alla corsa a tappe francese. Fino ai Giochi di Parigi 2024, dove Eyeru Tesfoam Gebru, 28 anni, eritrea, con la maglia bianca dei rifugiati del Comitato Internazionale olimpico, prese parte alla gara su strada. “Avevo sei anni – racconta – quando vidi passare dei corridori. Ne rimasi folgorata. A 16 anni, vendevo limoni, arance e altra frutta con mia madre. Con i soldi guadagnati noleggiavo la bici la domenica e prendevo confidenza. Non fu facile e le cadute furono numerose. A 17 anni, entrai in un club e mi venne data la prima bici. Nel 2015 a 19 anni, arrivai seconda ai campionati nazionali under 23. Nel 2016 mi trasferii in Svizzera e correvo in tutta Europa. Purtroppo il Covid rovinò tutto. Nel 2020 disputai i mondiali a Imola, poi tornai in Etiopia e nella mia regione, il Tigrai scoppiò la guerra civile. Persi tutto, parenti, amici e casa. Vivevo nascosta. Un incubo lungo otto mesi. Poi arrivai ad Addis Abeba”. Continua: “Nel 2021 presi parte ai mondiali in Belgio anche se non correvo da un anno. L’anno dopo rifiutai di correre per il mio paese, che stava compiendo un genocidio. In Francia chiesi asilo politico, che ottenni. Da quel momento la mia vita è cambiata radicalmente. Mi mandarono a scuola di francese, la squadra Grand Est-Komugi-La Fabrique mi offrì un posto e ripresi a correre. Dalla morte alla vita e il ciclismo mi ha ridato la vita”. Ecco perché Teosfam, anche se non ha finito la corsa su strada di Parigi, aveva già vinto prima di partire.

Giuliano Orlando