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La storia del Basket in 50 ritratti
Uno sport che nasce sull’asfalto prima di esplodere sul parquet. Per emergere servono talento, velocità e intelligenza. Ma soprattutto giocare per la squadra. Dan Peterson, Umberto Zappelloni. Illustrazioni di Fer Taboada – La storia del Basket in 50 ritratti - Carlo Gallucci editore – Centauria – Pag. 170 – Euro 24.
di Giuliano Orlando
Narra la leggenda che il nipote o l’antenato dell’attuale gioco del basket, fosse un cesto della frutta al quale era delegato il compito di ricevere la palla che i giocatori lanciavano con l’intenzione di centrarlo. Per recuperarlo e proseguire a giocare, occorreva una scala. Questo accadeva nel 1891 e l’idea la si deve al canadese James Naismith. Tutto nacque a causa del freddo che faceva in inverno a Martha's Vineyard, l’isoletta vicino alla costa meridionale di Capo Cod, nel Massachusetts. Ragion per cui i giochi all’aperto come football e baseball, nati anni prima, non si potevano praticare al chiuso. Per trovare un’alternativa il professore di educazione fisica Luther Halsey Gulick, chiamò il collega James Naismith chiedendogli se avesse idea di qualche gioco al coperto. Alla vigilia del Natale del 1891, nella palestra di Springfield dove operava il professor Naismith, nacque il basket ball, codificato da tredici regole che vennero pubblicate dal giornale studentesco “Triangle” il 15 gennaio 1892. Da quella lontana data, la crescita del basket è quantificabile in quasi 500 milioni di praticanti e riconosciuto da 215 nazioni nel mondo.
Traggo queste informazioni dalle prime pagine de “La storia del basket” scritto da Umberto Zapelloni e da un mito della disciplina come Dan Peterson. Semplicemente parlanti le illustrazioni di Fer Taboada. Un racconto che traccia la storia e l’evoluzione di una disciplina che ha varcato ogni confine, anche se il cuore e il motore ha la sua culla negli USA. Alla mia prima volta negli States, fine anni ’60, mi resi conto che il basket era come e più del calcio in Italia. Nell’immensa New York, in particolare nelle periferie dei quartieri, ogni angolo risultava buono per trovare un campetto e tanti ragazzini, in particolare di colore, lanciare la palla nel canestro. Ci sono tornato tante altre volte e quei campetti si sono moltiplicati a dismisura, spesso nascosti dagli immensi grattacieli, tenacemente vivi e pulsanti. Al Central Park, l’immenso parco, da anni il punto d’arrivo della maratona di New York, tutto un saliscendi spezzagambe, tra una panchina e l’altra spunta per incanto un canestro. Piccoli santuari laici di uno sport che ha mantenuto le sue radici nei territori meno abbienti. Nato negli USA, non ha impiegato molto a varcare i confini degli altri continenti. In Europa approda nel 1893, sulle rive della Senna, trovando sede alla Ymca di Montmartre, una palestra dalla quale partirono i volontari che fecero conoscere il basket ovunque. Siena è stata la prima città italiana ad ospitare il gioco, per merito della signorina Ida Nomi Venerosi Pesciolini che nel 1907 redasse in italiano il regolamento.
L’ufficialità, quando le allieve della Mens Sana in Corpore Sano si esibiscono a Venezia, davanti a re Vittorio Emanuele III e alla regina Elena. La federazione italiana basket nasce nel 1921 a Milano come il primo campionato nazionale. L’Olimpia Milano ebbe i natali nel 1936 e resta la società più titolata in assoluto. Personalmente non sono mai stato un tifoso del basket, ma quando negli anni ’80 arriva a Milano, Don Peterson, restai affascinato dal suo modo di gestire la squadra e dal suo italiano particolare. Un grande innovatore del gioco al punto che Silvio Berlusconi gli offrì di allenare il Milan! Per questo motivo iniziai a frequentare con alcuni amici il Palalido e nacque un tacito accordo col collega Marco Cassani, titolare del basket in Gazzetta. Io gli procuravo i biglietti per la boxe e lui contraccambiava con le partite dell’Olimpia. Davvero emozionante assistere ai trionfi dei quattro scudetti tra il 1982 e l’87, ma ancora più quando la squadra di Don Paterson vinse la Coppa Campioni. Trovarlo a distanza di tanti anni, coautore del bel libro col collega Umberto Zapelloni, è stato molto piacevole. Nei 50 ritratti, la marea USA ha poche eccezioni, come prevedibile. Tra questi due italiani: Dino Meneghin e Pierluigi Marzorati, con pieno merito. Lo spagnolo Gasol, gigante di 216 centimetri, un genio della versatilità. Gli altri europei citati sono il francese classe 2004, Victor Wembanyama oltre 220 cm. che porta con la leggerezza di una gazzella, destinato a crescere e diventare una star assoluta. Lo sloveno Luka Dondic, definito il nuovo Larry Bird, passato da Dallas ai Laker per vincere il titolo. L’altro europeo è il greco Giannis Antetokounmpo, genitori nigeriani, infanzia difficile. Col fratello andavano per le strade di Atene a vendere orologi, borse e occhiali da sole.
Oggi è considerato l’ala più completa, meglio di Tim Ducan e Karl Malorne. Il serbo Nikola Jokic, l’altro è lo spagnolo Pau Gasol, il più vincente nei due mondi dove ha giocato tra il 1998 e il 2015. Il croato Drazen Petrovic scomparso tragicamente e troppo presto. Il pivot lituano Arvydas Sabonis. Il tedesco Dirk Nowitzki. Trova posto l’argentino Manu Ginobili, sotto i due metri, scoperto nel 1998 a 18 anni dalla Viola di Reggio Calabria, due anni dopo passa alla Virtus Bologna guidata da Ettore Messina dove vince parecchio. Con l’Argentina nel 2004 ad Atene coglie l’oro olimpico. Conquista anche l’America. Il nigeriano Hakeem Olajuwon. Il resto è tutto USA, dai supereroi come Jabbar, Archibald, Bird, Bladley che ha giocato anche nell’Olimpia Milano, Chamberlain, Mike D’Antoni, da campione sul campo (tredici anni all’Olimpia) e genio in panchina, Havlicek, papà cecoslovacco e mamma croata, polmoni a mantice nessuno come lui sapeva coprire il campo a velocità folle, Lebron James che in molti reputano il più grande giocatore di basket, Earvin “Magic” Johnson, altro fenomeno assoluto. Ci sono i coach, i tecnici, alcuni veri geni come Red Auerbach, Gregg Popovich, Pat Riley. L’insaziabile Dean Smith, una carriera durata 36 anni, fino a John Wooden il santone dell’Ucla. Non è certo poco, ma il vero piacere è entrare nel merito di questi fenomeni, ovvero leggere pagina dopo pagina, senza perdere una virgola.
Giuliano Orlando