Nell'estate in cui il
fairplay finanziario nel calcio europeo diventa un dovere
le squadre italiane tirano la cinghia mentre alcuni grandi club del Vecchio Continente continuano a spendere e spandere. Qualcosa non torna. Che il fenomeno vada oltre le semplici discussioni da bar investendo invece tematiche economiche molto delicate e tecniche trova conferma dal fatto che un sito istituzionale e autorevole, specializzato in tematiche economiche e sociopolitiche, come
LaVoce.info dedica un approfondimento sulla questione dal titolo "Il fiscal compact del pallone", in cui usa un termine "caldo" - appunto il
fiscal compact ovvero la disciplina di bilancio degli Stati - a livello di Unione Europea per applicarlo al poco sostenibile mondo del pallone. L'autore,
Fausto Panunzi, professore di Economia Politica all'università Bocconi, prende spunto dall'
eclatante caso dei francesi del Psg a fronte della
campagna di cessioni del Milan per spiegare
come è possibile che avvenga questo disequilibrio di comportamenti. Ecco il punto centrale delll'illuminante disamina: "
Ci sono almeno tre possibili spiegazioni - dice il professor Panunzi -. La prima è che la capacità di generare ulteriori ricavi sia maggiore per il Psg rispetto al Milan. In altre parole, grazie a Ibra e Thiago Silva, la squadra francese potrebbe aumentare i suoi ricavi da diritti televisivi, incassi dallo stadio, premi Uefa, merchandising. Il fatturato del Psg è oggi molto più basso di quello del Milan - non è tra i primi venti club europei come ricavi secondo Deloitte, mentre il Milan è al settimo posto -, dunque questa ipotesi può avere qualche validità. Ma è altamente improbabile che i ricavi futuri del Psg cresceranno nei prossimi anni di una cifra vicina alle spese sostenute in questi anni". "La seconda spiegazione - prosegue Panunzi - è che il Psg sia convinto che alla fine le sanzioni Uefa non saranno applicate. È difficile escludere dalle competizioni le squadre con le stelle calcistiche mondiali, dato che l’Uefa stessa sarebbe danneggiata da una Champions senza City o Psg. Inoltre, il principale promotore del fair play finanziario, il presidente Michel Platini, potrebbe presto rimpiazzare Joseph Blatter alla guida della Fifa e non è detto che il suo successore abbia la stessa determinazione". "La terza - conclude il professore - è che il fair play finanziario sia aggirabile. Supponiamo che una società controllata direttamente o indirettamente dallo sceicco Al Thani decida di offrire una sponsorizzazione generosissima al Psg, ad esempio in cambio del nome sulle maglie o allo stadio. Questo farebbe aumentare i ricavi e quindi ridurre il deficit, magari fino ai 45 milioni previsti dal fair play finanziario. L’Uefa ha previsto il caso stabilendo che per queste voci occorre mettere a bilancio il fair value. Ma può stabilire qual è il valore “equo” di una sponsorizzazione? Insomma, come tutte le regolamentazioni, forse anche per il fair play finanziario esistono delle modalità per aggirarlo. Lo vedremo tra pochi mesi". Il professore alla fine mette il dito nella piaga del calcio italiano per spigare le difficoltà di sostenibilità economica dei nostri club: "Quello che è chiaro è che in Italia ormai le società sono sempre più legate ai ricavi delle televisioni e che le altre fonti di ricavi (proventi da stadio, merchandising, sponsorizzazioni) non sono al livello di quelle dei migliori campionati europei. Ci vorranno anni per rovesciare questo trend e quindi per un po’ dovremo rassegnarci a vedere i migliori calciatori giocare all’estero. Per fortuna le televisioni fanno già vedere anche la Premier, la Liga e la Bundesliga. E, c’è da scommettere, dal prossimo anno, anche la Ligue 1".