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Il digiuno intermittente è diventato una strategia alimentare molto discussa, anche tra chi si allena con costanza. Per alcuni rappresenta un modo pratico per gestire l’appetito e ridurre gli “spuntini automatici”, per altri è un approccio difficile da conciliare con performance, recupero e qualità degli allenamenti. La verità è che, nello sport, non esiste una risposta uguale per tutti: contano obiettivo, tipo di disciplina, volume di allenamento, orari delle sessioni e soprattutto la capacità di rispettare un apporto adeguato di energia e nutrienti.
Digiunare per molte ore non è di per sé “magico” né “dannoso” in assoluto. È una cornice organizzativa: può aiutare qualcuno a mangiare in modo più ordinato, ma può anche complicare la vita a chi ha bisogno di distribuire bene carboidrati e proteine durante la giornata. Per uno sportivo la domanda chiave non è se il digiuno intermittente funzioni in generale, ma se consenta di sostenere allenamento, recupero e adattamenti senza creare deficit cronici.
Con “digiuno intermittente” si intende un insieme di schemi che alternano finestre di alimentazione e periodi di astensione dal cibo. I più comuni sono il 16:8 (16 ore di digiuno e 8 di alimentazione), il 14:10, il 18:6, fino a protocolli più impegnativi con 24 ore di restrizione una o più volte a settimana.
Per lo sportivo è utile ricordare due aspetti. Il primo: spesso i benefici attribuiti al digiuno derivano non dal digiuno in sé, ma dal fatto che diventa più facile controllare l’introito calorico e migliorare la qualità delle scelte. Il secondo: una finestra troppo stretta può rendere difficile raggiungere quota proteica, carboidrati sufficienti e micronutrienti senza sentirsi appesantiti o senza ricorrere a pasti enormi.
In alcuni casi il digiuno intermittente può essere compatibile con l’attività sportiva e offrire vantaggi pratici. Per esempio, chi tende a “sgranocchiare” tutto il giorno può trarre beneficio da una routine più strutturata, con pasti più programmati e meno decisioni impulsive. Inoltre, per chi punta soprattutto a riduzione della massa grassa (senza obiettivi di prestazione immediata), un protocollo moderato può aiutare a creare un deficit calorico sostenibile.
Un altro possibile vantaggio è la semplificazione della giornata: meno pasti, più facilità nella gestione logistica. Alcuni atleti amatoriali riportano anche una buona sensazione di “leggerezza” negli allenamenti svolti lontano dai pasti, soprattutto nelle sedute a bassa intensità. Tuttavia, queste esperienze positive funzionano solo se non si sacrifica la capacità di allenarsi con qualità e di recuperare.
Per uno sportivo, il rischio principale è scivolare in una disponibilità energetica troppo bassa. Se l’apporto calorico non copre ciò che serve per allenarsi, recuperare e mantenere funzioni fisiologiche ottimali, possono comparire segnali come calo della prestazione, difficoltà a progredire, irritabilità, sonno peggiore, aumentata percezione dello sforzo, maggiore fame serale e scarsa qualità del recupero muscolare.
La finestra alimentare ridotta può anche penalizzare chi svolge lavori di qualità o sport ad alta intensità. Se l’allenamento cade a ridosso della fine del digiuno, può mancare carburante immediato, soprattutto in termini di carboidrati disponibili. Questo non significa che ogni allenamento a digiuno sia “sbagliato”, ma che allenamenti impegnativi ripetuti in condizioni di scarsa energia possono ridurre l’adattamento e aumentare il rischio di sovraccarico.
Anche la costruzione di massa muscolare può diventare più complessa: non perché serva mangiare “sempre”, ma perché diventa più difficile distribuire bene la sintesi proteica durante la giornata e raggiungere un surplus controllato. Se il tuo obiettivo include mantenere o aumentare la massa magra, serve una strategia molto più attenta rispetto a chi cerca solo dimagrimento.
Il punto non è scegliere il protocollo “più duro”, ma quello che si incastra meglio con allenamenti e vita quotidiana. In pratica, può avere più senso un 12:12 o 14:10 rispetto a un 18:6, soprattutto per chi si allena spesso. È fondamentale anche posizionare la finestra di alimentazione vicino alle sessioni più importanti, così da supportare prestazione e recupero.
Un metodo utile è ragionare per priorità: prima la qualità dell’allenamento, poi la cornice del digiuno. Se noti che peggiori in modo evidente nelle sedute chiave o che recuperi peggio, il protocollo va modificato o abbandonato. Il corpo manda segnali piuttosto chiari: non conviene ignorarli solo per rispettare un orario.
Ecco una lista di controlli pratici da usare come bussola (unica sezione con elenco puntato):
Energia in allenamento: riesci a mantenere intensità e concentrazione nelle sedute importanti?
Recupero: DOMS e stanchezza rientrano in tempi normali o si trascinano?
Fame e comportamento alimentare: la fame serale diventa ingestibile o aumentano abbuffate e “compensazioni”?
Peso e composizione: stai perdendo peso troppo rapidamente o senti di “svuotarti”?
Sonno e umore: dormi bene e ti senti stabile, o noti nervosismo e insonnia?
Regolarità: riesci a mantenere un apporto adeguato di proteine, carboidrati e micronutrienti senza pasti eccessivi?
Se uno o più punti peggiorano, spesso la soluzione è allargare la finestra, spostarla, o rendere il digiuno flessibile nei giorni di allenamento intenso.
Se l’obiettivo è restare performante, la parola chiave è “adattamento”. Un approccio sensato può prevedere: finestra alimentare più ampia nei giorni di qualità e più stretta nei giorni di recupero, senza trasformare lo schema in una gabbia.
Per sostenere allenamenti e muscoli, è utile dare priorità a proteine sufficienti e a carboidrati ben posizionati intorno alle sedute. Un pasto completo dopo l’allenamento, con proteine e carboidrati, può fare la differenza sul recupero. Se ti alleni al mattino e non tolleri cibo prima, valuta almeno una strategia minimale nel post, evitando di rimandare troppo a lungo l’assunzione di nutrienti.
Attenzione anche all’idratazione: durante il digiuno si può bere, e per chi suda molto l’equilibrio di liquidi e sali è un dettaglio che diventa sostanza. In più, la qualità complessiva della dieta resta decisiva: il digiuno intermittente non “compensa” scelte povere di fibre, vitamine e minerali.
Per molti sportivi amatoriali il punto di equilibrio è semplice: usare il digiuno come strumento di ordine, senza farlo diventare un ostacolo alla performance. Se riesci ad allenarti bene, recuperare e coprire il fabbisogno, può essere una soluzione praticabile. Se invece ti costringe a comprimere troppo l’alimentazione o peggiora le sedute chiave, conviene scegliere un approccio più flessibile e più sport-friendly.