*/
L'ennesima estate tormentata della Lega Pro pone interrogativi pressanti sul futuro del calcio professionistico in Italia. Cinque squadre, Taranto, Triestina, Piacenza, Giulianova e Pergocrema hanno alzato bandiera bianca, rinunciando persino a presentare domanda di iscrizione. Altri 11 club sono, a oggi, fuori dalle regole per non aver presentato nei termini e con le modalità giuste la fidejussione bancaria (600 mila euro per la Prima Divisione e 300 mila euro per la Seconda). Ora ci saranno i ricorsi, il verdetto della Covisoc, atteso per l'11 luglio, e la pronuncia del Consiglio Federale il 17. Esperiti tutti i gradi di giudizio, a inizio agosto si saprà quanti altri club sono caduti sotto la mannaia del regolamento. Secondo gli esperti saranno in totale una decina e andranno ad aggiungersi ai 14 spariti dal calcio professionistico l'estate scorsa. Una moria senza precedenti.
Un giro di vite duro necessario
Il primo commento da fare è che il giro di vite imposto dal presidente Mario Macalli sui requisiti economici per partecipare alla Lega Pro è sacrosanto. Da Busto Arsizio a Catanzaro, passando per Savona – solo per citare i casi più eclatanti – il pagamento degli stipendi nella terza e quarta serie del calcio italiano era diventato negli ultimi anni quasi un optional al punto che si è assistito a scene surreali, come quelle dei giocatori del Savona costretti a pagarsi i pranzi e la benzina nelle trasferte autogestite o gli scioperi dei bustocchi e dei catanzaresi che si sono seduti a braccia conserte in mezzo al campo dopo il fischio d'inizio di una partita.
Troppi club, tagli inevitabili
Le norme sempre più rigide introdotte dalla Lega Pro (che riguardano non solo l'aspetto economico ma anche la capienza e l'agibilità degli impianti) dovrebbero vietare l'accesso a chi non ha la potenzialità economica per partecipare alla categoria e quindi sono benvenute. Meglio una squadra in meno che una società morosa già a gennaio, con tutti gli effetti che ne deriverebbero sulla regolarità del campionato. Per non parlare delle “tentazioni” sul fronte scommesse per chi non prende lo stipendio da mesi. E d'altra parte il numero di 132 club professionistici previsti dal format ufficiale dei campionati in Italia (20 per la serie A, 22 per la B, 36 per la Prima Divisione e 54 per la Seconda divisione) è sproporzionato rispetto alle dimensioni della “torta” da spartire e anche nel confronto con gli altri paesi europei. Al di là della tristezza di veder sparire dal panorama calcistico professionistico piazze storiche come Trieste e Piacenza, questa cura dimagrante è quindi necessaria, anzi, inevitabile.
Qualche domanda ai padroni del vapore
Qualche domanda però va posta ai padroni del vapore, da Abete a Macalli passando per Beretta e Abodi: è mai possibile che a determinare il format dei campionati di Lega Pro sia la mannaia delle iscrizioni e non una pianificazione seria e condivisa? La strada maestra per ridisegnare il format del calcio professionistico in Italia non passerebbe attraverso una riduzione del numero delle squadre a partire dalla Serie A e dai cadetti? E da regole pressanti per far sì che la Lega Pro sia una categoria per far crescere e maturare i giovani e non una serie per vecchie cariatidi a caccia dell'ultimo ingaggio? E' mai possibile che dall'inizio dell'anno si sapesse in via ufficiosa che Prima e Seconda Divisione sarebbero andate verso l'accorpamento rendendo di fatto inutili le retrocessioni dalla Prima e le promozioni dalla Seconda? Domande che restano in sospeso, alle quali ci piacerebbe ricevere risposta. Un sospetto però l'abbiamo: a ognuna di queste domande le tre leghe risponderebbero in modo diverso, con una ricetta figlia della tutela del proprio orticello e non dell'interesse generale.