Buffon: "Non sono al Psg per soldi. Mancini non ha bisogno di me"

Pubblicato il 31 dicembre 2018 alle 13:04:07
Categoria: Notizie Calcio
Autore: Michele Nardi

Gigi Buffon tira un bilancio del suo 2018, l’anno del settimo scudetto consecutivo e dell’addio alla Juve dopo la beffa della notte di Madrid. Ora la sua avventura prosegue al Psg: “Dicono che continuo a giocare solo per soldi? Un po’ di invidia c’è sempre ed è anche umana -spiega il portiere in un’intervista al Corriere della Sera- ma la prima regola è quella di non lasciarsi condizionare da giudizi e idee altrui. Non prostituirò mai i miei ideali e i miei sogni per il denaro. Altrimenti lo avrei fatto ben prima. Il denaro è importante, è un mezzo per vivere meglio. Ma non sono venale”.

Cambiare tutto a 40 anni può essere un grosso rischio: “Avranno pensato che ero un folle o un monumento a cui mancano solo i piccioni addosso. Ma il mio entusiasmo mi rende giovane e se voglio continuare ancora non mi posso rapportare come un vecchio Papa. A volte sono più stupido di chi ha vent’anni e nessuno si accorge della mia età. La chiamata del Psg? Un grande orgoglio, perché a una certa età tutti sono considerati cotti e ricevere la proposta di una società così è la vera soddisfazione della vita: ho dato il massimo sempre, sono certo di essermi comportato bene e la vita mi ha premiato con questo bonus. È una felicità grande, che ti dà fiducia”.

Ma sotto la Tour Eiffel Buffon non ha il posto assicurato. L’ex Juve si gioca il posto da titolare con Areola, portiere giovane e di prospettiva: “Con questa differenza di età e prospettive non c’è dualismo ma una sinergia e anche un’amicizia. Areola è eccezionale e di una bontà infinita che mi scioglie: quando gioca lui sono felice e sono qui anche per aiutarlo a diventare un riferimento per la Francia e in Europa. L’accoglienza? Qui è stata straordinaria. La gente per strada mi ringrazia e per me a 40 anni è incredibile: esiste una parte di mondo che ti considera ancora importante, come un valore aggiunto”.

L’obbiettivo, oltre alla Ligue1, è naturalmente la Champions: “Solo a fine carriera vi dirò cosa è stata la Champions per me. Detto questo, non sono venuto qui per vincerla, perché altrimenti non avrei capito niente. Ma spero di portare qualcosa in più e ho l’ambizione di migliorare quello che è stato fatto fin qui. Sarebbe importante”. L’incrocio con la sua ex squadra in Champions, magari in finale potrebbe complicare le cose? “Sfidarla prima sarebbe meno doloroso. Anche bello e strano. Ma tornerei nel mio stadio, tra i miei tifosi, con cui mi sono lasciato in maniera commovente. Una rimpatriata. Mentre in finale la gestione del dopo partita sarebbe complicata: vorrei avere la libertà di esultare pazzamente in caso di vittoria”.

In spogliatoio Buffon ha un’attenzione particolare per Mbappé e Neymar: “Se la vita è stata benevola nei tuoi confronti e ti ha dato qualità fuori dal comune, non ti devi accontentare di essere uno dei tanti, ma il numero uno. Non so se sia fuoco, ambizione o amor proprio. So che non mi va di sprecare tempo, perché nulla è impossibile nello sport: dico a Ney che è uno scandalo che non abbia ancora vinto il Pallone d’oro e che dovrebbe essere furioso. Lui e Kylian hanno un talento spropositato e possono dominare dieci anni. Ma tutto deve partire dalla loro testa e dalla loro voglia”.

“Se l’Italia è in buone mani? Sì, Mancini sa qual è la strada migliore da intraprendere - ha continuato il portiere - mentre il presidente federale Gravina non lo conosco. Sono strafelice che Chiellini abbia ereditato la mia fascia sia alla Juve sia in nazionale, perché è un uomo e un giocatore che merita questo tipo di responsabilità. Donnarumma è un simbolo della coerenza e della bontà del progetto che prevede di preparare i più giovani al prossimo appuntamento. Credo che anche Perin, se cominciasse a giocare, Meret, Cragno e Sirigu diano garanzie totali. Io? Ho parlato col Mancio: non c’è bisogno di me”.

Sui fatti di San Siro: “Sono cose indecenti e, ovviamente, non mi riferisco ai milanesi, ma a chi dentro di sé ha ormai un odio radicato, erroneamente derubricato in tifo da stadio. Non c’è bisogno di demagogia ma di tolleranza zero, altrimenti ci ritroveremo accerchiati da individui ancora peggiori. E probabilmente in tutto ciò il calcio nemmeno c’entra. Questo è un tema assai più serio e complesso: qui ci sono i germi dell’odio che continuano ad annidarsi ovunque. Stadio compreso”.

Futuro in politica? “Ho imparato a dire mai dire mai. Ho capito quanto sia stato fortunato a essere uno strumento di felicità per la gente e quanto potere ti dà questo. Dentro devi essere altruista e io lo sono sempre stato. E vorrei tornare a trovare un piccolo spazio dove posso essere strumento di sogno o di aiuto. Però non so ancora quale sarà”.