Trasferte da brivido per Zucco (europeo) in Inghilterra contro Simpson e Squeo (mondiale) in Australia contro Opetaia.
di Giuliano Orlando
Doppia trasferta italiana all’insegna del rischio alto. Senza falsi allarmismi, ma guardando in faccia la realtà, il supermedio Ivan Zucco (21) e il cruiser Claudio Squeo (17) alla vigilia delle loro sfide, risultano nettamente sfavoriti. Il mancino di Verbania, guidato dalla famiglia Cherchi fin dal debutto nei pro, avvenuto nel 2017, sabato sera sale sul ring dello stadio di Barnsley nello Yorkshire per affrontare Callum Simpson (17), che combatte di fronte al pubblico di casa, fattore non secondario. L’europeo è vacante, dopo che il francese Kevin Lele Sadjo (24), 35 anni, pro dal 2019, nativo del Camerun, titolo conquistato il 18 dicembre 2021 a Manchester a spese del locale Jack Cullen (22-6-1) spedito KO al sesto round. Due difese vittoriose, l’ultima contro l’attuale DT della nazionale italiana, il viterbese Giovanni De Carolis il 9 aprile 2024 a Levallois Porret in Francia, KO all’ottavo round. Per l’italiano, match d’addio di una carriera iniziata nel 2007, culminata col mondiale nel 2016 in Germania. Sadjo rinuncia a difendere la cintura e l’EBU indica Zucco e Simpson cosfidanti. L’inglese figura al 13° posto nel ranking mondiale, addirittura settimo per la IBF. Più che un picchiatore a colpo unico è un demolitore, sapendo lavorare sopra e sotto. Forse Zucco ha un pizzico di potenza in più nel sinistro, da buon mancino. Non che l’italiano vada al macello, in teoria qualche cartuccia da giocare la possiede. Lui stesso è consapevole della situazione: “L’inglese gioca in casa e ha tutto in suo favore. Dai pronostici alla giuria, sempre casalinga. Io non ho nulla da perdere, quindi salgo sul ring senza alcuna remora, puntando alla vittoria. Vedremo quanto lui è bravo. Di certo gli renderò la vita difficile. Purtroppo la situazione italiana sui grandi eventi è inesistente. La tv trasmette senza sborsare nulla, le emittenti straniere idem. L’unica alternativa è combattere fuori casa. Con i rischi del caso”.
A livello statistico, l’europeo specifico, manca all’Italia dal 12 aprile 2008, quando il talentuoso armeno Karo Murad (35-4-1), sotto bandiera tedesca, sul ring di Neubrandenburg, lo tolse al mancino veneto di Piove di Sacco, Chistian Sanavia (49-6-1), uno dei migliori allievi del grande maestro Gino Freo. Verdetto molto stretto. Karo è un grande campione, capace di conquistare il mondiale IBO mediomassimi. Carriera infinita, dal 2006 al 2022, con una sosta dal 2018 al 2021. Chistian a sua volta, fenomenale mancino, capace di scalzare un intoccabile come il tedesco Markus Beyer (35-3-1), bello e protetto, fans a non finire. Il nostro pugile nel 2004 sul quadrato di Chemnitz, fu così bravo da convincere due giudici a vederlo vincitore di Beyer e sottrargli il mondiale WBC. Impresa storica. Come tutti i purosangue aveva impuntature e qualche sconfitta fu causata da questi vuoti. Ma fu anche eroico, combattendo spesso con mille acciacchi. L’europeo lo conquistò il primo giugno 2007 ad Ajaccio in Corsica, la città che ha dato i natali ad un certo Napoleone Bonaparte, il 15 agosto 1769. Nell’occasione pugilistica, Sanavia superò David Gogiva (21-4) che non era francese, ma georgiano di nascita e russo di passaporto e tale restò per tutta la carriera e anche dopo. Buon pugile, attivo quasi sempre in Russia e solo due volte in Francia. La prima quando conquista il titolo battendo il transalpino Jackson Chanet il 2 dicembre 2006 a Parigi, quella successiva l’ho ricordata prima. In passato altri due italiani sono arrivati al vertice europeo della categoria. Il laziale Mario Galvano, quando l’EBU nel 1990 lase inaugurò. Ad organizzare l’evento a Capo d’Orlando località turistica messinese di fronte alle isole Eolie, fu l’organizzatore romano Rodolfo Sabbatini. A conquistare la cintura ci pensò Mauro Galvano, pugile di Fiumicino, guidato all’angolo da Rocco Agostino. Galvano superò il valido inglese Mark Taylor e nove mesi dopo a Montecarlo divenne campione del mondo WBC, battendo l’argentino Dario Matteoni. L’altro pugile di casa nostra a farcela fu il mancino Vincenzo Nardiello (34-7), nato in Gemania nel 1966, radici campane, residente a Casal Balocco, vicino a Fiumicino, allenato dal padre, anche lui guidato da Rocco Agostino.
Vincenzo in fatto di talento ne possedeva in abbondanza, anche spesso rischiò di buttarlo al vento. Non così ai Giochi di Seul 1988. Nell’occasione furono i giudici prezzolati dagli organizzatori coreani che rubarono a piene mani, in particolare nei superwelter con due furti clamorosi. Il primo ai danni di Vincenzo, l’altro in finale ai danni di Roy Jones jr. Entrambi avevano strabattuto Si Hu Park. Verdetti da far accapponare la pelle. Si seppe poi che giudici e arbitri, trovarono in stanza un Rolex d’oro, come benvenuto. Le inchieste successive, non cambiarono nulla, anche se il marcio galleggiò come il sughero sull’acqua. Già allora l’AIBA si vendeva al miglior offerente. Nardiello conquista la cintura europea ad Ariccia zona Castelli Romani, il 16 dicembre 1992. L’avversario si chiama Fidel Castro Smith (22-8), coloured inglese, molto resistente, ma inferiore al nostro. Purtroppo alla prima difesa, quattro mesi dopo a Campione d’Italia lo perde di fronte a Ray Close, irlandese di Belfast, un fighter sempre avanti. Nel decimo round, in uno scontro di teste, Nardiello ha la peggio: sopracciglio sinistro tagliato. L’arbitro ferma il match e Close si porta a casa la cintura. Che lascia subito, vista l’opportunità del mondiale WBO contro Chris Eubank a Glasgow. Match finito in parità. A contendersi la corona vacante l’EBU indica Nardiello e Galvano. La sfida si svolge al Palazzo del Ghiaccio di Marino il 26 novembre 1993, con un tifo da stadio. Vince in modo netto Nardiello. Ma dopo quel successo sembra aver imboccato il viale del tramonto, con tre sconfitte pesanti, firmate da Frederich Seiller per l’europeo, da Nigel Benn (mondiale WBC) e Henry Wharton, ancora per l’europeo. Tutto sbagliato, il 6 luglio 1996, sul quadrato di Manchester, tra la sorpresa generale sconfigge il sudafricano di colore Thulani Malinga (44-13) neo campione del mondo WBC, battendo Nigel Benn. Il biondino di casa nostra lo detronizza e torna a casa campione del mondo supermedi WBC. Zucco prova a imitarlo, anche se la terra d’Albione è sempre stata ostica per tutti. L’ultimo a provarci nel 2021 a Manchester, è stato Giovanni De Carolis, europeo vacante, superato ai punti dal locale Lerrone Richards (18-1), che qualche mese dopo conquisterà il mondiale IBO.
L’altro italiano all’estero è il non più verdissimo Claudio Squeo (17), 34 primavere di Molfetta, professionista dal 2017, un percorso senza ostacoli snodatosi in Italia. Dal titolo nazionale a quello latino ed europeo targati IBF. Seguito sempre dal suo maestro Nicola Loiacono. Non ha un manager, dopo aver chiuso il rapporto con Davide Buccioni. Tra un incontro e l’altro si è laureato in scienze motorie, e viene invitato dalle scuole, dove racconta l’iter che l’ha portato al pugilato. Oggi Squeo ha un fisico imponente niente male. Da ragazzino era una palla e questo giustificava l’insana abitudine di prendere in giro i compagni meno affusolati. “Alcuni bulli mi portarono via il cagnolino che rappresentava la cosa più bella che avevo. A quel punto cominciai a pensare come potermi difendere e scoprii il pugilato. Non fu facile costruirmi un fisico prestante. Debbo dire che tutti i maestri che ho frequentato mi hanno aiutato anche nei momenti di sconforto. Inoltre il pugilato mi ha insegnato molte altre cose a cominciare dalla fiducia in te stesso. Adesso mi sento bene dentro e fuori”.
La trasferta in Australia non è un passo azzardato?
“Perché azzardato? Potrei definirlo ragionevolmente rischioso, consapevole che Opetaia il campione che vado a sfidare ha tutto dalla sua. Più alto, più titolato, strafavorito davanti al suo pubblico. Sai perché ho detto sì? Mi sono ricordato quando anni fa, andai a vedere il film “Cinderella Man”. Sulla carta la sfida di James Braddock, ritenuto sulla via del tramonto, dopo peripezie infinite, ridotto in miseria, ma moralmente integerrimo, contro il campione in carica, quel Max Bear, che oltre ad aver fatto soffrire il nostro Primo Carnera, mandandolo al tappeto infinite volte, era un genio del ring. A giudizio di tutti si trattava di una seduta d’allenamento. Nelle prime file molte stelle di Hollywood, con le quali Bear era in ottimi rapporti. Il match non andò secondo i pronostici e a vincere fu Cinderella Man. Non dico che io farò lo stesso. Ma sicuramente mi batterò al meglio delle mie possibilità. Inoltre, fatto non secondario, la borsa supera di gran lunga, quelle messe insieme in 17 incontri da pro. Sono un professionista che dovrebbe vivere con gli introiti degli incontri. Fossi un inglese sicuramente ce la farei. Vivo in Italia e anche se la federazione parla di grande rinascita, in verità con la boxe non ci vive nessuno. Questa la verità attuale”.
Mi auguro con tutto il cuore che Claudio faccia il miracolo, anche se ne dubito fortemente. Penso che una sconfitta ai punti, sarebbe un grande successo. Il campione Jai Opetaia (27), nativo di Sydney, 30 anni a fine mese, passa pro nel 2015, a vent’anni, dopo una carriera in maglietta di vertice. Campione del mondo jr, nel 2011 ad Astana in Kazakistan, titolare ai Giochi di Londra 2012, battuto dal russo Teymur Mammadov, passato azero, a sua volta fermato in semifinale da Clemente Russo. Risiede nel Quesland, sulla Costa d’oro, splendida località, dove prepara gli incontri. Dal debutto a oggi ha messo nella feretra ben 27 successi, 21 prima del limite. Dal 2015 al 2022 ha sempre combattuto in casa, salvo due trasferte (Messico e Samoa) facili, facili. Dopo le cinture d’Australia, del Pacifico Orientale, il WBO Global tra il 2017 e 2019, il colpo grosso data al 2 luglio 2022, al Gold Coast Convention Centre di Broadbeach, dove risiede. Avversario è il lettone Mairis Briedis (28-3). Pro dal 2009, conquista il mondiale WBC in Germania dove batte Marko Huck nel 2017. Primo pugile lettone campione del mondo. L’anno dopo sul ring di casa a Riga, incrocia un certo Olek Usyk e addio titolo. Lungi dalla resa, va negli USA e conquista il Diamond cruiser WBC. Nel 2019, torna titolare del mondiale WBO ai danni del polacco Krzysztof Glowacki, Si ferma per oltre un anno e il 26 settembre 2020 a Monaco di Baviera, scalza il cubano Yuniel Dorticos (24-1) che aveva appena conquistato il mondiale per l’IBF. La sfida successiva è contro Artur Mann , kazako passato alla Germania, messo KO al secondo round, di fronte al pubblico di Riga. Quando accetta la ricca borsa per difendere il suo capitale in Australia il 2 luglio 2022, in casa di Opetaia, il lettone ha varcato la soglia delle 37 primavere, con 23 anni di onorato e oneroso servizio. A Broadbeach il pugile di casa, vince e convince, anche se rimedia un problema alla mascella che lo costringe ad un intervento chirurgico. Mentre Briedis torna in Lettonia più ricco ma anche denudato della cintura iridata. La prima difesa a fine settembre 2023 addirittura a Wembley, contro Jordan Thompson (15), a sua volta imbattuto. Spedito KO al quarto rintocco e non più risalto sul ring. A quel punto Bob Arum, Spencer Brown e Frank Warren, con l’emiro del posto, ritengono sia maturo per il palco di Ryad in Arabia Saudita, dove la boxe è ormai di casa. Il 18 maggio 2024, Opetaia ritrova Briedis col titolo IBF vacante e ripete il successo precedente.
Difende due volte il tesoretto mettendo KO i due sfidanti. Il primo è l’inglese Jack Massay (22-3) lo scorso dicembre a Ryad, out al 6° round, L’ultimo si chiama David Nyika (10-1) connazionale e coetaneo, l’8 gennaio a Broadbeach, tenuto in piedi 4 tempi. L’8 giugno, per noi il 9, visto il fuso orario, sempre sul ring di fronte a casa, Opetaia, incrocia i guantoni contro un italiano, Claudio Squeo, alla sua prima trasferta, al suo primo mondiale, che non ha nulla da perdere. Per il quale facciamo il tifo. Incrociando le dita. Storicamente la IBF riconobbe i massimi leggeri o cruiser solo nel 1983, dopo il WBC (1978) e la WBA (1982). Il primo campione IBF fu Marvin Camel (45-13-4-4) attivo dal 1973 al 1990 – il 31 maggio 1988 a fine carriera, combatte a Milano, perdendo da un certo James Salerno - che il 13 dicembre ad Halifax in Canada mise KO Roddy MacDonald (29-10-1) al quinto round, che boxava in casa. Camel, nato nel Montana, si presentava sul ring, col costume dei pellerossa Cheyenne la tribù dei suoi antenati. Un mancino alto 1.88, molto veloce. Nel 1979 aveva affrontato Mate Parlov a Spalato, per il WBC, pareggiando dopo 15 tempi, lasciando la cintura ancora vacante. Ero presente a quella sfida, invitato da Mario Barbieri, un italiano che diresse l’attività di Parlov, ritenuto a giusta ragione il più grande pugile dell’allora Jugoslavia. Unico capace da dilettante di battere cubani e russi. Oro ai Giochi 1972 e ai mondiali del 1974. Passa pro nel 1975 a 27 anni e svolge l’attività per buona parte in Italia, con l’organizzatore Gianni Scuri, un caro amico. Nel 1980 a Las Vegas nella rivincita vinse Marvin e fu il primo campione WBC, mentre Parlov annunciava il ritiro. L’Italia, grazie a Massimiliano Duran, figura tra le nazioni che hanno detenuto la cintura mondiale cruiser WBC. Il figlio e fratello d’arte, il 27 luglio 1990 a Capo d’Orlando batte il portoricano Carlos de Leon. Impresa quasi epica, considerando la pericolosità dell’avversario. Anche in questa occasione, organizzava Rodolfo Sabbatini e Duran era diretto da Rocco Agostino. Pur trattandosi di una categoria non ritenuta classica, annovera tra i titolari campioni di valore assoluto quali Evander Holyfield, Vassilly Jirov, James Toney, Denis Lebedev, Murat Gasssiev, e Olek Usyk. Niente male.
Giuliano Orlando
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