ESCLUSIVA - Intervista al nuovo presidente AIBA, Umar Kremlev

Pubblicato il 17 marzo 2021 alle 14:00:44
Categoria: Boxe
Autore:

Per capire la delicatezza del momento che il pugilato amatoriale vive, mi è sembrato corretto partire dalle origini. La noble art, entra ufficialmente ai Giochi Olimpici dei tempi moderni nel 1904, che si tennero a St. Louis (USA), ma solo il 16 febbraio 1920 i rappresentanti di Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi e Brasile con USA, Irlanda e Scozia come osservatori, annunciano la volontà di fondare una federazione internazionale di boxe. Che avviene il 24 agosto dello stesso anno nel corso dei Giochi di Anversa (Belgio). Sono undici le nazioni che aderiscono: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Olanda, Norvegia, Sud Africa, Svizzera, Svezia e Stati Uniti. Nasce la Federation International de Boxe Amateur (FIBA), eletto presidente l’inglese John H. Douglas. Lingua ufficiale l’inglese, anche se il nome della federazione è in francese che diventa la seconda lingua. Nel 1926 a Parigi si svolge il Congresso dove vengono prese decisioni importanti. Iscritto un pugile per nazione nelle varie categorie, round di tre minuti e uno di riposo. Nel 1931, altro cambiamento: l’arbitro entra sul ring, invece di seguire l’incontro da una sedia esterna. Viene istituita la protezione per i pugili, in vigore ai Giochi di Los Angeles nel 1932. A fine novembre 1946, al Congresso di Londra si cambia logo. Scompare la FIBA e nasce l’AIBA, presenti 21 nazioni, tra cui l’Italia, eletto presidente il francese Emile Grèmaux che resta in carica fino al 1959, anno della sua scomparsa. Lo sostituisce nel 1962 l’inglese Rudyard H. Russel. Le nazioni che si iscrivono all’AIBA sono sempre più numerose. Nel 1974, in occasione dell’elezione del generale Nikiforov-Denisov (URSS) sono una sessantina e quattro anni dopo, quando la carica viene affidata al colonnello Don F. Hull sono salite a 127. Nel 1986 è la volta del pakistano Anwar Chowdhry che regge fino al 5 novembre 2006, letteralmente cacciato a 84 anni, con l’accusa di aver ottenuto favori e quattrini da diverse federazioni nazionali. Il sesto presidente viene eletto al Congresso tenutosi il 5 novembre 2006 a Santo Domingo. E’ l’architetto Ching-Kou Wu, nato a Taipei. La fine del suo mandato coincide con l’esclusione dell’AIBA dal contesto del CIO, in relazione all’organizzazione delle qualificazioni ai Giochi di Tokyo. Le accuse sono gravissime, dalla folle gestione finanziaria col rischio della bancarotta, agli scandali del settore arbitri e giudici a Rio, ai mancati controlli antidoping. A quel punto (2017), il CIO prende la decisione di sospendere l’AIBA dai compiti istituzionali. Fuori dai Giochi e la minaccia di escluderla definitivamente dal contesto olimpico. L’interregno dell’uzbeko Gafur Rachimov (2018-2019) acuì i problemi invece di risolverli. E l’introduzione della Task Force da parte del CIO, in sostituzione dell’AIBA si è dimostrato non all’altezza per l’incompetenza dei delegati a tale compito. Al Congresso di Mosca, tenuto a fine dicembre a distanza, è stato eletto il russo Umar Kremler col 57% dei 157 paesi votanti. Il compito del neo eletto non è certo dei più facili, ma dalle sue dichiarazioni, appare non solo determinato, ma convinto di portare fuori l’AIBA dalla palude nella quale è sprofondata. Ho voluto intervistarlo, il terzo della mia serie personale. Il primo nel 1989 in occasione dei mondiali dilettanti tenuti a Mosca, dal 18 ottobre al primo novembre, ottenni di inviare all’allora reggente, il pakistano Anwar Chowdhry, dieci domande sulla situazione e le problematiche varie, in particolare relative all’ingresso delle macchinette”, introdotte ufficialmente in occasione dei mondiali di Mosca, dopo gli scandali ai Giochi di Seul 1988. Non fu facile ed ebbi questa opportunità grazie all’intervento dei colleghi della Germania Est, Dietrich Denz responsabile di Box-Ring il mensile della DDR e Gunter Kurtz presidente della Commissione AIPS, la stampa sportiva internazionale, di cui facevo parte e che aveva il compito di redigere le classifiche dei migliori nelle varie categorie, anno per anno. Compito che l’AIBA cancellò nel 1993, delegando i propri consiglieri con effetti comici per l’incompetenza del ruolo. Le riposte le ottenni dopo una decina di giorni, ma erano talmente fumose e prive del minimo interesse per il lettore che feci sapere all’allora direttore di Boxe Ring, Roberto Fazi e alla Gazzetta dello Sport, essere inutile la pubblicazione. Ebbi più fortuna con Ching-Kuo Wu, architetto di Taipei, eletto nel 2006, visto che l’intervista fu in diretta, con la regia di Franco Falcinelli, allora vice presidente AIBA. La ottenni nel 2013 ai mondiali di Almaty in Kazakistan, edizione particolare perché nell’occasione i pugili non indossarono il caschetto, in uso dal 1984 ai Giochi di Los Angeles. Oltre che per l’impresa di Clemente Russo che a 31 anni, vinse per la seconda volta (la prima nel 2007 a Chicago, assieme a Roberto Cammarelle) con una sicurezza sconcertante. In quel caso l’intervista fu esauriente su temi generali e di nuove iniziative a favore delle nazioni meno abbienti, senza il minimo accenno alla nefasta rivoluzione del Congresso 2014 a Je-Ju in Corea del Sud con l’annuncio che l’AIBA sarebbe diventata l’unico ente che doveva e poteva rappresentare la boxe nel pianeta terra. In breve tempo avrebbe cancellato tutte le sigle a cominciare dal WBC, WBA, WBO e IBF, rimaste senza pugili nel loro alveo. Il solo effetto fu di aver messo in crisi tutte federazioni nazionali, costrette a rivedere le normative in vigore, mentre sul cielo dell’AIBA iniziavano i prodomi di nuvole nere che avrebbero portato all’uscita non delle sigle, che semmai risultarono ancora più potenti e per contro, ma della cacciata dell’AIBA dall’ambito del CIO, nella programmazione organizzativa per la qualificazione ai Giochi. Quando manifestai l’idea dell’intervista al neo presidente dell’AIBA, il russo Umar Kremlev, trovai il pieno appoggio di Franco Falcinelli e l’indispensabile collaborazione del prezioso amico Alexander Egorov, direttore esecutivo dell’EUBC, che ha tradotto l’intervista.

Di Umar Kremler, ho apprezzato la chiarezza nel rispondere ad alcune domande che potrei definire scomode. In particolare quella riguardante il nulla osta del professionismo in ambito dilettantistico, per accedere ai Giochi. La risposta è stata molto intelligente, perché ha convenuto che “la boxe olimpica è l'educazione di un atleta, la sua scuola, l’università, professionismo invece è quando gli atleti praticano il pugilato "per lavoro". Aggiungendo: “Dobbiamo creare le condizioni affinché gli atleti che rappresentano il nostro sport non siano limitati nella scelta del ring olimpico o professionistico. A mio parere personale, le due situazioni dovrebbero essere in grado di combinarsi. Ma questa possibilità dovrà essere discussa con tutte le federazioni nazionali appartenenti all'AIBA”. Finalmente, la decisione definitiva arriva dalla base e non dal vertice come è accaduto finora. Un segnale importante. Non ha nascosto neppure che il settore arbitrale va aggiornato e migliorato. Una situazione, la cui problematica è stata ignorata dai suoi predecessori e solo Falcinelli ha avuto il coraggio di denunciare da tempo. I cartellini di troppi giudici nei vari tornei sono il peggio del peggio. L’uniformità di giudizio è una vera utopia. Creare una commissione specifica è improcrastinabile. Il difficile sarà trovare tecnici in grado di assolvere un compito così delicato. L’attuale normativa riguardante l’ingresso dei pro nei vari tornei dilettanti, rende difficile uniformare le regole. Per questo, personalmente penso che sarà necessario predisporre paletti netti per pugili che hanno conquistato titoli internazionali e superato un certo numero di match nei pro. Ovvero quando l’attività diventa un vero lavoro. Ecco le otto domande e le relative risposte.

Il 12 dicembre 2020, Lei è stato eletto nuovo presidente dell’AIBA, in un momento molto delicato per l’Associazione che dal lontano 1920 come FIBA e dal 1946 quale AIBA, guida le sorti della boxe dilettantistica. Un compito non facile dovendo riportare l’AIBA al riconoscimento del passato, dopo la sventurata presidenza precedente che ha cancellato una storia di vertice di un secolo, dove il pugilato dilettantistico ha scritto pagine gloriose in assoluto. Quali sono le priorità assolute del suo incarico? Quando è nata la passione per il pugilato? Quali sport ha praticato in gioventù?

“Sin dall'infanzia, sono stato innamorato della boxe e ho praticato questo sport sotto la guida dell'allenatore Alexei Galeev. Per me, la boxe è un hobby che è diventato il lavoro e l'amore della mia vita. Nonostante non sia diventato un pugile professionista, mi alleno ancora quotidianamente. Sono certo che qualsiasi funzionario sportivo, per aiutare nel modo più efficace possibile atleti e allenatori, deve conoscere e comprendere il proprio sport dall'interno. Inoltre, so da me stesso quanto la boxe faccia bene alla salute. Oggi, a capo dell'AIBA, ho due priorità principali: questi sono atleti e allenatori, tutto ciò che facciamo è per loro e per lo sviluppo del nostro sport in generale. I compiti prioritari sono chiudere i debiti dell'associazione, risolvere i problemi con la gestione dell'AIBA, aggiornare e migliorare il sistema arbitrale. Risolvendoli, potremo restituire la nostra associazione alla famiglia olimpica. Non dobbiamo semplicemente tornare, ma prendere una posizione ferma al riguardo. Dopo tutto, la boxe è uno sport con una storia ricca e gloriosa e dobbiamo assicurarci un futuro dignitoso”.

Se le mie informazioni sono corrette, dopo l’Accademia Statale di pubblica utilità e costruzione, ha operato da responsabile in una ditta di trasporti tra il 2009 e il 2012 oltre che Presidente del Centro di sviluppo e modernizzazione. Nel 2013, responsabile alla promozione del Patriot Boxing, che operava a stretto contatto con ottimi professionisti russi, quali Fedor e Dmitry Chudinov, Mikhail Aloyan e pure Roy Jones jr. fino al 2017. Come è passato dal mondo commerciale al settore pugilistico dei professionisti?

“Informazione corretta. Per me la boxe è stata un grande amore sin dall’infanzia, questo è ciò che sento dentro l’anima. Pertanto, quando si è presentata l'opportunità di lavorare in questo sport, ho accettato senza esitazione. Sapevo cosa attraversano gli atleti e i loro allenatori prima di avere successo e ho sempre voluto aiutarli, affinché riuscissero a mostrare i loro migliori risultati. Boxe e affari per me camminano su due direttrici parallele e quindi inseparabili, in quanto l'una può aiutare l'altra in modo concreto. Io stesso sono nel mondo degli affari, quindi so che anche la boxe insegna disciplina, tenacia, coraggio - in una parola, quelle qualità che sono così necessarie negli affari. Mentre la collaborazione con la boxe, sport spettacolare e popolare, diventa per il business un'efficace opportunità di comunicazione e pubblicità”.

Nel 2017 è stato eletto segretario della Federazione Russa e membro del Comitato Esecutivo. Due anni dopo nel 2019, primo vicepresidente dell’EUBC, la federazione europea presieduta da tempo dall’italiano Franco Falcinelli. Da quanti anni conosce Franco Falcinelli e il suo giudizio sulla gestione dell’EUBC?

“Un percorso necessario per acquisire l’indispensabile esperienza nel campo specifico del pugilato a livello dirigenziale. Conosco Franco da quando ho iniziato a lavorare nel pugilato. La programmazione dell’EUBC è un esempio positivo per qualsiasi federazione e non solo di boxe. L’ente è sempre andato in crescendo dando spazio alle categorie giovanili, prima ignorate. Inoltre lo rispetto come manager, come persona e, ovviamente, come allenatore leggendario che ha dedicato tutta la sua vita alla boxe”.

Dopo le elezioni ha parlato col presidente del CIO, Thomas Bach? Lei è il presidente AIBA più giovane dei sei che l’hanno preceduta, ma anche quello che ha fatto più ampia esperienza in ogni campo dell’organizzazione di eventi pugilistici di alto livello, compresi mondiali dei professionisti, oltre alle World Series, ai Global Boxing Forum e agli ultimi mondiali dilettanti maschili e femminili 2019. Visti i risultati decisamente mediocri della Task Force, in proiezione di Tokyo, non pensa ad un intervento presso il CIO per migliorare la situazione attuale?

“Non abbiamo ancora avuto un dialogo diretto con Bach. Considero il mio compito principale mostrare in pratica le riforme dell'AIBA, attuare tutte le raccomandazioni con le quali siamo assolutamente d'accordo, e dopo parlare sostanzialmente con la leadership del CIO di ulteriori passi e possibili cooperazioni. Sono aperto al dialogo in qualsiasi momento e sempre pronto a fornire qualsiasi assistenza al Gruppo di lavoro, se necessario. L’AIBA è un'organizzazione indipendente il cui obiettivo principale è sviluppare la boxe come sport, per aiutare gli atleti e gli allenatori a ottenere risultati migliori. Siamo sempre aperti alla partnership e alla cooperazione costruttiva”.

Fin dall’inizio del suo mandato ha confermato di essere un presidente molto presente sul campo. Al torneo Bocskai di Debrecen in Ungheria, dopo la vittoria dell’italiana Irma Testa nei 57 kg. è andato personalmente a congratularsi con la vincitrice. Era la prima volta che la vedeva sul ring? Come viene considerato in Russia il pugilato italiano?

“Certo, ho visto personalmente molte competizioni e il nome di Irma Testa non mi è suonato inedito, quando è stata eletta vicepresidente del Comitato Atleti AIBA. È atleta giovane e di grande talento: ha conquistato una medaglia d'argento ai Giochi Olimpici della Gioventù in Cina e una medaglia d'oro ai Campionati Europei. Inoltre, è la prima partecipante femminile alle Olimpiadi dell'Italia, arrivata peraltro ai quarti di finale. “Questi risultati sono molto significativi e sono fiducioso che la boxe femminile italiana continuerà a prosperare. L’AIBA, dalla parte sua, fornirà tutta l'assistenza necessaria per questo progresso. Per quanto riguarda la boxe maschile, l'Italia ha una grande storia con sei campioni del mondo in maglietta. Inoltre, con 15 medaglie d'oro olimpiche - è uno dei quattro paesi più forti al mondo in questa classifica, comprese le medaglie conquistate in due delle ultime tre Olimpiadi - a Londra e a Pechino. Sono sicuro che i pugili italiani non si fermeranno qui e potranno mettersi alla prova nelle prossime competizioni importanti. Di recente, il 27 febbraio, la Federazione Pugilistica Italiana ha eletto alla sua guida un nuovo promettente leader, Flavio D'Ambrosi. Sono molto fiducioso sul fatto che il nuovo leader potrà sviluppare ancora di più la gloriosa tradizione della boxe in Italia”.

Al Congresso AIBA del 2013 a Je-Ju in Corea del Sud, è stato cambiato l’acronimo, cancellando di fatto, il dilettantismo ufficiale, dando spazio al professionismo, senza precise normative atte a salvaguardare il divario di esperienza tra dilettanti e professionisti di provata esperienza. Non sarebbe necessario evitare che campioni continentali o addirittura del mondo come il caso della francese Maiva Hamadouche (31 anni) iridata pro IBF superpiuma, attiva da oltre 15 anni, possano affrontare avversarie di 18 anni, dall’esperienza forzatamente limitata?

“Abbiamo un unico sport: il pugilato. La boxe olimpica è l'educazione di un atleta, la sua scuola, l’università, professionismo invece è quando gli atleti praticano il pugilato "per lavoro". Credo che dobbiamo creare le condizioni affinché gli atleti che rappresentano il nostro sport non siano limitati nella scelta del ring olimpico o professionistico. A mio parere personale, i due dovrebbero essere in grado di combinarsi. Ma questa possibilità dovrà essere discussa con tutte le federazioni nazionali appartenenti all'AIBA”.

Nel 1980, l’italiano Patrizio Oliva vinse l’oro ai Giochi Olimpici di Mosca, all’angolo del quale c’era Franco Falcinelli, un grande tecnico prima di diventare dirigente. Ha avuto modo di rivedere il filmato di quella finale?

“Patrizio Oliva è una leggenda della boxe italiana e ovviamente ho visto il combattimento finale alle Olimpiadi di Mosca. Gli italiani erano generalmente tra i migliori negli anni '30, '50 e '60. Sulla strada per la finale, il 21enne Oliva ha sconfitto atleti provenienti da Benin, Siria, Jugoslavia e Regno Unito. Nella finale della categoria di peso fino a 63,5 kg, ha incontrato il suo principale rivale dell'URSS, Serik Konakbaev. Oliva, assistito all’angolo da coach Franco Falcinelli, ha scelto la strategia migliore per questo combattimento, che per lui è stata una rivincita. Infatti, un anno prima, aveva perso contro Konakbaev a Colonia. Per quanto riguarda la finale stessa, Konakbaev si è fatto avanti in attacco, mentre Oliva ha usato il suo incredibile gioco di gambe evitando i colpi del pugile sovietico. L'italiano ha lavorato da una distanza più lunga e ha usato rapidi contrattacchi. Konakbaev nel primo round ha portato un bel gancio, ma dal secondo Oliva ha usato tattiche difensive più efficaci. Il pugile italiano ha lanciato jab precisi, e sono state le sue mosse d'attacco di successo a decidere il risultato della finale olimpica. Inoltre, Oliva ha un record davvero impressionante: 155 vittorie su 160 combattimenti nel corso della sua carriera dilettantistica!”

Presidente, Lei ha annunciato la creazione di una “Boxing Academy” per ogni Continente. Il centro di Assisi è pronto ad ospitarla con tutte le strutture del caso. Quali sono i tempi per aggiornare la cultura sportiva e formativa del pugilato europeo e mondiale?

“Il nostro compito è riuscire a mostrare i risultati in tempi brevi. La boxe ha aspettato i cambiamenti per troppi anni, non abbiamo più tempo per attendere. Dobbiamo agire. Ecco perché la Boxing Academy di Assisi deve diventare operativa il più rapidamente possibile per rendere il pugilato europeo ancora più spettacolare ed efficace, al fine di migliorare costantemente le qualifiche dei nostri arbitri/giudici, allenatori e dirigenti. Vogliamo vedere una forte concorrenza, prestazioni eccezionali sul ring e il lavoro professionale dei nostri funzionari sportivi. In sintonia con tutti i settori e non più in ordine sparso”.

Giuliano Orlando