Come disputare a 88 anni la mezza maratona di New York. Con orgoglio e rimpianti.

Pubblicato il 23 marzo 2024 alle 19:03
Categoria: Notizie di attualità
Autore: Wilma Gagliardi

 

Come disputare a 88 anni la mezza maratona di New York. Con orgoglio e rimpianti.

Cronaca dell’avventura.

di Giuliano Orlando

NEW YORK.  Il mio feeling con la Grande Mela è di vecchia data. Addirittura nella pancia degli anni 60, via mare su un piroscafo mercantile della Società di navigazione Italia, partito da Genova, poi Napoli, lo stretto di Gibilterra e le Azzorre, in occasione del viaggio inaugurale. Facevo parte dell’equipaggio, addetto all’assistenza dei passeggeri, alla fornitura di generi vari dalle sigarette ai prodotti alimentari e turistici, in un comparto chiamato di “camera”, il cui responsabile era il Commissario di bordo. Gli altri due erano di macchina e di coperta. Il primo comprendeva gli uomini addetti alla parte motoristica dai meccanici fino al responsabile, mentre la coperta riguardava tutto il resto, guidato dal comandante della nave. Arrivammo a New York, dopo oltre una decina di giorni di navigazione, in una mattinata dominata dalla nebbia e scorgemmo la statua della Libertà praticamente a portata di mano. Ugualmente mi fece grande impressione. Purtroppo per motivi di servizio non potevo lasciare la nave e della metropoli vidi ben poco. Qualche anno dopo, forse una decina, ci tornai via cielo, da giornalista, con un viaggio allestito da Aldo Spoldi e il gruppo denominato “Veterani dello sport” e finalmente, cominciai a capire che la metropoli non era solo Manhattan, ma tanti altri quartieri non inseriti nei tour turistici, ma non meno importanti. Se non sbaglio, tra i presenti c’era anche Cesare Castellani più o meno, mio coetaneo. La prima tappa dopo l’arrivo, fu nel negozio di un triestino che vendeva di tutto, dagli stuzzicadenti ai copertoni per auto e ogni tipo di casalinghi, dal tegamino ai pentoloni per i ristoranti. Un negozio infinito, chiuso nei primi anni 2000. Times Square era già il punto centrale del quartiere e l’Empire State Building costruito nel 1931, (443 metri con l’antenna), risultava il più visitato. Impressionante l’oscillazione quando arrivi in cima. Le avenue erano già ricche di luci, con grandi cartelli colorati che a sera si illuminavano con un grande effetto scenografico. C’erano i teatri, tanti e piccoli. Esisteva già Central Park, poco più di un bosco. Il Bronks era meglio evitarlo e la sera tutto il movimento si concentrava verso Times Square. Il quartiere dei barboni si trovava a Bowary Street, poco raccomandabile anche di giorno. Ricordo che con diversi ex campioni e alcuni colleghi, finimmo tutti a cena da “Mama Leone”, che il Madison Square Garden già funzionava e infatti assistemmo ad una riunione di boxe importante. Personalmente restai impressionato dalla violenza del loro pugilato, con gli arbitri che lasciavano correre situazioni dove la superiorità era evidentissima e l’inferiorità drammatica. Non mi trovai d’accordo. Non c’era il Palazzo delle Nazioni e neppure l’imponente e tetro (nero) grattacielo dell’Opus Dei. I grattacieli finivano a Manhattan, mentre oggi proseguono a perdita d’occhio e continuano a costruirne.  Le street erano stradine sporche e trafficate più dai carretti che dalle auto. Che la comunità italiana occupava una parte importante della metropoli, mentre i confinanti cinesi erano pochi e timidi. Oggi sono tantissimi e hanno praticamente occupato il 90% del territorio una volta made in Italy.  Come dicevo, i grattacieli si allungano da Nord a Sud per 40 e più km.  Arrivando fino a Newport nel quartiere di Jersey City, dove l’Hudson sbocca sul mare e dove giganteggia la Water’s Soul, tutta in materiale bianco, una testa di donna con gli occhi socchiusi e un dito della mano sulle labbra che chiede il silenzio. La statua posta nell’ottobre 2021, è opera dell’artista spagnolo Jaume Plensa, fatta arrivare da Barcellona via nave su 23 container, ognuno lungo 12 metri. Alta come il grattacielo, posto a breve distanza. Per l’artista è un omaggio al fiume Hudson e considera l’acqua una meravigliosa metafora dell’umanità. Tornando al quel lontano viaggio, ricordo che il tassista addetto al giro della città, rifiutò di entrare ad Harlem, considerato off-limits. Informandoci che il sindaco aveva fatto costruire palazzi riservati alle famiglie di colore nel quartiere, col bagno che veniva riempito di terra per coltivare piante di vario genere, comprese quelle proibite. Oggi Harlem è proibito, per chi non è ricco, avendo i palazzi prezzi astronomici. Tra i proprietari anche i Clinton. Ho detto in avvio che il feeling con la città è di vecchia data, come con la maratona, sicuramente la più popolare del mondo. L’ho fatta sei volte, la prima nel 1987, poi nel 2001 con i resti delle Torri Gemelle ancora fumanti e l’acre odore del materiale bruciato, la città praticamente isolata, con aerei ed elicotteri che solcavano il cielo a formare un ombrello protettivo. Quindi nel 2002, 2003, 2004 e l’ultima nel 2006, vicino alle 70 primavere. Corsa per niente facile, sempre in costante salita, compreso il Central Park che girando, girando non ti presenta mai il traguardo. A quel punto pensavo di aver chiuso quell’appuntamento. Che oltre tutto, era arrivato a far pagare il pettorale 500 dollari. Uno sproposito. Infatti ho disputato altre maratone altrove, l’ultima a Pietroburgo nel 2010, preparata molto sommariamente, oltre i 70 anni. Faticai non poco a restare nelle 4 ore, motivo per cui ritenni giunto il momento di chiudere con la 42,195 metri. Sono tornato altre volte nella Grande Mela, principalmente per seguire eventi sportivi, in particolare sfide mondiali di pugilato. Recentemente, lessi che a fine marzo si organizzava la mezza a New York e iniziò a frullarmi in testa l’idea di partecipare, pur consapevole essere un progetto abbastanza folle. L’ultima mezza disputata al Parco Nord di Milano, denominata l’Alpen Cup, datava dal 2013, finita con l’amico Antonio Bardeschi, compagno di allenamenti da oltre vent’anni e di tante gare tra maratone e mezze. Nell’occasione chiudemmo in 1.51’49” e io vinsi tra gli over 70. Da allora, le uscite si sono sempre limitate tra i 12 e 15 km, alternando corsetta e camminata. Nell’ultimo mese ho cercato di ritrovare la condizione per la mezza maratona, consapevole che non sarebbe stato facile. Comunque, la mattina del 17 aprile, partendo dall’Hampton Inn by Hilton, l’hotel dove eravamo alloggiati, essenziale e trafficatissimo, per fortuna molto pulito, sito nel cuore di Times Square, di fronte al mitico Hard Rock, limitrofo alla quinta avenue, ho dato il via alla mia avventura da old jogger. Mi ha accompagnato Thomas Herbert, titolare della B2R, l’agenzia di Reggio Emilia alla quale mi sono affidato per la trasferta negli USA. Già sul metro che ci ha condotti a Prospect Park, quartiere di Brooklyn, abbiamo capito che l’evento era stato recepito da un buon di numero di persone, in particolare dagli irlandesi, che i quei giorni festeggiavano S. Patrizio, con tanto di sfilata sulla Quinta Avenue. Già uscire dalla metro è stato un problema, tanto che il buon Herbert ha dovuto portare la mia sacca al deposito situato su Eastern Parkway tra le due Avenue Franklin e Classon, non proprio vicine alla partenza. Diversamente sarei arrivato alla punzonatura in ritardo. Cosa che è avvenuta ugualmente. Alla United Airlines NYC Half, si sono iscritti quasi in 30.000! Fermo quasi mezz’ora per arrivare alla punzonatura, mezzo km. per il punto di partenza e finalmente col gruppo Awe 4, torno dopo undici anni, soglia delle 88 primavere, a provare una maratonina. Il primo miglio, poco più di 1600 metri, si percorre all’interno del parco locale, con diverse ascese su asfalto, quindi la parte esterna del quartiere di Brooklyn, con molta gente che incoraggia i partecipanti. Prendo atto che la maggior parte è ottimamente allenata, anche se molti, in particolare le donne, sono decisamente fuori peso, con glutei abbondanti, ma ugualmente veloci. Il mio piano è quello di mantenere la media di 18, 19 minuti a miglio. Non sarà facile ma ci provo. Mentre consumo le prime tre miglia, penso al mio passato da maratoneta, quando tra il 1987 la mia prima volta e poi 2000, 2001, 2002, 2003, 2004 e 2006 l’ho percorsa sei volte, trovandola spettacolare come nessun’altra, ma sempre impegnativa. In particolare quando si entra al Central Park e hai l’illusione di essere vicino al traguardo, mentre ti aspettano almeno 5 km. con salite che non finiscono mai. Nonostante questa caratteristica, ricordo che specie nel finale, erano più quelli che superavo di quelli che procedevano più veloci. Altri tempi. Infatti stavolta la situazione si presentava di gran lunga opposta. Dopo 4 miglia, ai piedi del ponte di Manhattan - fondo in cemento - che non finisce più, mi rendo conto che la strada è decisamente molto lunga. A dirla tutta, non sono affaticato, ma ho il sospetto che i problemi arriveranno dopo, quando sarò in vista del Central Park, che mi hanno detto, segue pari, pari l’itinerario della maratona. Cerco di non pensarci e vado avanti, mentre sulla mia destra scorre l’Hudson, tra magazzeni, attracchi di barche e portacontainer. Oltre alle segnalazioni per ogni miglio, vengono indicati i km. cadenzati ogni 5. Si lascia il grande fiume svoltando a sinistra per immettersi sulla 42° Street, per non sbagliare in leggera ascesa. Finita la quale curvi a destra, incroci Times Square e debbo dire che gli organizzatori sono stati molto bravi ad aver mantenuto la chiusura del traffico, tenendo conto che parecchi km. sono stati percorsi nel cuore di Manhattan, quotidianamente un delirio di macchine e camion di dimensioni enormi. Libero anche per uno come il sottoscritto che ha percorso la 7° Avenue, più o meno al 17° e il 18° km. dopo tre ore dal via. Una media ottima per il sottoscritto e se la corsa fosse finita a quel punto, avrei urlato di gioia. Purtroppo restavano ancora quasi tre miglia e improvvisamente all’imbocco del Central Park, che si è presentato parato a festa, famiglie con figli e tanta gente che gremiva il parco, è arrivato un crampo al quadricipite della gamba destra, inaspettato e crudele. A quel punto ho dovuto frenare e non poco, gestendo fatica e distanza col bilancino del farmacista. Se forzavo non sarei mai arrivato al traguardo, ipotesi che scartava a priori. Magari in ginocchio, ma quel 21 km e 95 metri li avrei percorsi tutti. Mi venne in mente quando nel 2007 a Pechino finii la maratona col tendine d’Achille a rischio rottura, ma non mi arresi. Non feci caso al fatto che era accaduto 16 anni prima, semplicemente che anche in quel caso, arrivai al traguardo. Consapevoli della mia difficoltà molti assistenti mi offrirono aiuto per sostenermi, rifiutato categoricamente. Sono arrivato al traguardo sulle mie gambe e neppure l’ultimo. In quattro ore e forse qualcosa in più, ma felice e orgoglioso di avercela fatta. Unico dispiacere che chi mi aspettava, mia moglie Luisa, mia figlia Cristina, il marito Pasquale e il nipote Antonio, fossero in pensiero, poco abituati a vedermi in coda alla corsa. Ho saputo che tra i maschi ero il meno giovane, mentre tra le signore una novantenne mi aveva preceduto di qualche minuto. Che vergogna! Oddio, non tutte le ciambelle riescono col buco. Quella di New York aveva un buchettino piccolo, piccolo ma comunque si vedeva il fondo. Riflettendo, dovevo aspettarmi il conto del crampo. Nove ore di volo, quindi immobile, arrivo a New York e invece di cercare un massaggiatore per rilassare i muscoli e fare una bella dormita, il tempo di prendere possesso della camera e subito in giro nel caotico traffico di varia umanità di Manhattan. Dimenticavo, nel tardo pomeriggio siamo andati a ritirare pettorale e sacca. Abbiamo preso il metro che ci ha portati dopo oltre mezz’ora nel quartiere di Brooklyn, trovando dopo un paio di km. la 415 Fifth Avenue, ma non il Center dove distribuivano l’accredito e il resto. Alla nostra richiesta d’informazione, un giovane molto gentilmente ci spiega che si trattava della 415 Fifth Avenue, ma quella di Manhattan, meno di un km. del nostro Hotel! Ritorno alla base e di corsa per arrivare prima della chiusura al Center giusto.  Alle 18,57, tra gli applausi del personale, ho ritirato la sacca col pettorale. Mettendo a dura prova i muscoli. Il giorno della vigilia mi sono limitato a una breve passeggiata e un ristorante italiano la sera, per trovare la pastasciutta, ovvero carboidrati, come consigliano gli esperti. Ma forse ci volevano due cose che mi sono mancate: una preparazione vera e qualche decennio meno. Mancando queste due situazioni, posso dire che alla fine il bicchiere è risultato mezzo pieno.

Giuliano Orlando