Galderisi: "Il mio Verona scudettato come il Leicester di Ranieri"

Pubblicato il 16 dicembre 2016 alle 15:32:22
Categoria: Notizie Lega Pro
Autore: Redazione Datasport.it

Giuseppe Galderisi, detto anche il "Nanu", è da sempre sinonimo di successo, lealtà e determinazione. Nato il 22 marzo 1963 a Salerno, l'attuale tecnico della Lucchese si racconta a Datasport, ripercorrendo le tappe più importanti della propria splendida carriera, tra imprese compiute, maestri di vita e cocenti delusioni.
 
- In apertura, le chiedo un commento sul momento della squadra. Dopo un inizio altalenante, avete inanellato nove risultati utili consecutivi, entrando prepotentemente tra le squadre in lizza per un piazzamento playoff.
"La squadra ha sempre fatto delle ottime prestazioni e nelle prime giornate ha sicuramente ottenuto molto meno di quello che ha messo in campo. Rispetto allo scorso anno è stata cambiata per molti aspetti, è partita da zero con 4/5 giocatori di spessore che già conoscevo: il 18 luglio siamo partiti con una grande voglia di crescere, il gruppo è diventato sempre più forte ed unito ed abbiamo fatto prestazioni importanti contro Alessandria ed Arezzo, raccogliendo meno di quanto fatto. Sembriamo poco continui, invece siamo in continuo miglioramento, soprattutto nella mentalità, nel modo di allenarci e nel preparare con umiltà le partite. Ora stiamo raccogliendo di più, ma resto del parere che, in tutti i campionati, il girone d'andata e il girone di ritorno siano due tornei a parte".
 
- Con l'attuale 3-4-3 è riuscito a mettere in risalto le qualità della sua squadra. Qual è stato il punto di svolta della vostra stagione secondo lei?
"Già in ritiro lavoravamo molto col mediano che si abbassa in difesa, sicuramente sotto l'aspetto mentale questo modulo ci ha dato più solidità però ci stavamo lavorando sopra già da prima. Nel momento in cui abbiamo abbiamo perso contro il Tuttocuoio, abbiamo pensato con i ragazzi, i quali mi hanno dato la massima disponibilità, di cambiare. Con l'arrivo anche di qualche altro giocatore siamo diventati più duttili tatticamente, per esempio a Carrara siamo passati dal 3-4-2-1, al 3-4-1-2 per poi finire col 4-2-3-1. Bisogna sottolineare la grande disponibilità dei ragazzi, che sanno adattarsi a diverse situazioni".
 
- Riavvolgendo il nastro, lei da calciatore ha condotto una carriera straordinaria, vestendo maglie prestigiose. Ha debuttato in Serie A con la maglia della Juventus, ritrovandosi catapultato in un mondo esigente e ricco di pressioni. Quanto l'ha formata l'esperienza in bianconero?
"Quando un ragazzo di 13 anni parte da casa per andare a 1000 km di distanza con il sogno di diventare un calciatore e poi si ritrova un'ambiente composto da persone di tale spessore umano e professionale, è impossibile chiedere di più. Dal presidente Boniperti, dagli allenatori del settore giovanile, a Trapattoni: e poi tutti i giocatori con una mano mi hanno coccolato e con l'altra indirizzato. Parlo dei vari Zoff, Furino, Bettega, Scirea, Cabrini, Tardelli, Gentile. Mi hanno insegnato a comportarmi bene, ad essere educato, a rispettare il prossimo ed aiutare i compagni. Insomma nella mia carriera, oltre alla qualità e alla fame, ho avuto la fortuna di ritrovarmi grandi uomini che mi hanno insegnato non solo a fare il calciatore ma anche a vivere lo spogliatoio, ed è quello che cerco di trasmettere oggi ai miei giocatori".
 
- Poi il trasferimento all'Hellas e lo storico scudetto della stagione 1984/85. Si ricorda un aneddoto di quel fantastico gruppo che, guidato da Osvaldo Bagnoli, toccò vette inimmaginabili?
"L'emozione che mi ha fatto vivere l'anno scorso Ranieri con il Leicester si avvicina molto a quella vissuta da noi quell'anno. Noi in ritiro facevamo i conti per capire quali sarebbero state le squadre con cui ci saremmo dovuti confrontare per mantenere la categoria. Avevamo un enorme senso di appartenenza, una grande voglia di seguire il nostro condottiero Bagnoli: lui era molto equilibrato, umile e concreto. In quel gruppo c'erano veramente persone di grande spessore umano poi, con l'aggiunta dei due stranieri e di giovani come me che avevano voglia di spaccare il mondo, si formò quella miscela meravigliosa che ci portò a vivere momenti indimenticabili dentro e fuori dal campo".
 
- La sua esperienza italiana più duratura è stata al Padova, dove raggiungeste la promozione in Serie A dopo 32 anni. Pur di rimanere in Veneto, rifiutò anche diverse proposte arrivategli da grandi squadre. Quanto è legato alla città?
"Io sottolineo sempre questo perché feci una scelta di cuore. Ero diventato un punto di riferimento perché alla fine ero quello che, fino al quel momento, aveva ottenuto più successi in carriera. La sfida diventò sempre più complicata ma io non me la sentii di lasciare Padova, avevo una gran voglia di portare la squadra dove mi ero prefissato. Versammo tante lacrime perché per anni sfiorammo la Serie A per poco, ma alla fine ce la facemmo e fu una grande gioia. Quello fu un grande gruppo, come alla Juventus e al Verona".
 
- Dando invece uno sguardo alla Serie A attuale, si rivede in qualche attaccante?
"Due anni fa giocai contro il Teramo che aveva due centravanti che in due avevano segnato una quarantina di gol e tra essi c'era Lapadula. A me piacque tantissimo perché aveva quella sana "cazzimma" napoletana e la qualità tecnica per sfondare, poi aveva una fame spaventosa. Lo rivedo soprattutto in quella voglia che avevo io di emergere anche se ha caratteristiche un po' diverse rispetto a me".
 
- Ormai da quasi quindici anni allena. Quale tecnico l'ha influenzata maggiormente a livello tattico?
"Ho l'imbarazzo della scelta. Vengo da una scuola composta da persone di spessore al di fuori di ogni logica: parlo dei vari Trapattoni, Bagnoli, Maldini, Bearzot. Da loro ho imparato tante cose, poi era un periodo di transizione dalla marcatura a quella zona, ho conosciuto anche Arrigo Sacchi, seppur per un breve periodo. Anche oggi vedo tanto calcio, cerco di andare a vedere gli allenatori che mi piacciono di più e di bravi ce ne sono parecchi".
 
- Considera come maggior rimpianto della sua vita calcistica la breve esperienza sulla panchina della Salernitana? Considerando anche che lei è nato a Salerno ed è un tifoso granata.
"Quello fu l'unico anno da allenatore in cui rimasi solo tre partite. Diedi massima disponibilità per cercare di mantenere alcune promesse che feci a mio padre e mio cognato, morti poco tempo prima. Mi chiesero di riportare la Salernitana in Serie A e il destino volle che le nostre strade si incrociassero. Purtroppo le cose non andarono bene, c'erano situazioni che non dipendevano da me: è stato un fallimento personale molto grande perché ci credevo fortemente. Però, professionalmente, è stato un onore comportarmi come mi sono comportato: è stato un modo per far capire che il rispetto dei ruoli è fondamentale".
 
- Tornando all'attualità, domenica affronterete la Giana Erminio, squadra da sempre ostica. Quante insidie nasconde questa sfida?
"Insieme al Renate, la Giana è una delle squadre che farà soffrire tutti fino alla fine del campionato per duttilità, idea di gioco ed entusiasmo. Togliendo Alessandria, Cremonese ed Arezzo, credo che domenica troveremo l'avversario peggiore. Sarà un bellissimo confronto".